ROMA – Debiti con le le imprese: forse lo Stato inizia a pagare. Dall’Europa giungono piccoli spiragli di apertura, Mario Monti si accoda e promette massima celerità e collaborazione. Dopo, però, che dei 70/100 miliardi di credito vantato dalle aziende era stata solennemente promessa la restituzione del ministro Passera nel 2012 e solo tre milioni in effetti avevano preso la strada giusta. Dopo, anche, la pressante richiesta del presidente di Confindustria Squinzi: sbloccare subito almeno 48 mld dei crediti delle imprese per consentirci una decina di miliardi di investimenti produttivi
Ora, sembra che la liquidazione dei debiti pregressi della Pubblica Amministrazione possa avvenire fuori dai vincoli di bilancio. E’ questa la giustificazione sempre addotta per cui alla fine i crediti delle imprese si accumulavano sempre più (i 71 miliardi calcolati l’anno scorso, c’è chi stima in 150 mld il valore gli arretrati): l’Europa non vuole, non possiamo permetterci di aumentare ancora il nostro debito pubblico.
Bruxelles, adottando un cambio di prospettiva rispetto al dogma dell’austerità e del rispetto del fiscal compact, potrebbe autorizzare, appunto, nuove misure di investimenti produttivi (si parla di 7,5 miliardi di euro) e il sospirato pagamento degli arretrati accumulati dallo Stato nei confronti delle imprese già strozzate dal credit crunch (cioè l’inaccessibilità pratica al credito) e penalizzate dalla stagnazione economica attuale.
Una nota del premier accoglie con favore la novità della impostazione politica del problema e assicura la massima collaborazione del governo italiano per individuare il precorso tecnico più vantaggioso e rapido per rimanere nella legalità finanziaria compatibile con “l’enorme debito commerciale pregresso, che l’apertura dimostrata oggi dalla Commissione europea permetterà di affrontare più incisivamente”.
Ci sono dei margini di flessibilità contenuti nel Patto di Stabilità che possono essere percorsi. L’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato, proprio ieri 17 marzo, dalle colonne del Sole 24 Ore (“Quel varco tra i paletti dell’austerità europea”) invitava le forze politiche, e in particolare l’ancora effettivo governo di Mario Monti, a valorizzare la mezza apertura della UE che sulla richiesta di più investimenti e più indulgenza sugli sforamenti destinati alla crescita, ha fornito una risposta interlocutoria.
Chi, se non chi è più interessato, come l’Italia, dovrebbe inalberare la bandiera della crescita anche al prezzo di piccole deroghe all’ortodossia contabile? Nel caso della discussione sui debiti dello Stato, di cui il commissario Tajani è incaricato di aggiornarci sulla sua evoluzione, questi crediti privati diventano automaticamente debito dello Stato, non appena diventa esigibile: mettere questo capitolo di spesa fuori dal Patto di Stabilità significa non compromettere gli sforzi, finora andati a buon fine, per mantenere sotto il 3% il rapporto deficit/Pil annuale.
“Ho dato vita a una task force che possa esaminare quanto i pagamenti pregressi siano, una volta pagati, in violazione del patto di stabilità e per cercare di interpretare in maniera più flessibile il patto di stabilità. Con il commissario Rehn mi pare che l’esito del lavoro di questa task force sia positivo. Dipende dal governo italiano nella sua autonomia presentare alla Commissione Europea una proposta sui tempi in cui sanare il debito che la Pubblica Amministrazione ha nei confronti delle imprese” ha detto il vicepresidente della commissione europea Antonio Tajani. Previsioni? Tajani parla di una speranza che in due anni io debiti vengano smaltiti.
Alla lunga, però, non ci potrà sottrarre da quella che è chiamata la “politica del denominatore”, e cioè una inversione di tendenza significativa del Pil (appunto il denominatore nel rapporto con il deficit assunto come numeratore): finché resta fermo al palo sarà sempre un’odissea mantenere il rapporto sotto il 3%. Soldi freschi alle imprese, iniziando con la restituzione del dovuto e proseguendo con qualche investimento mirato, vanno in questa direzione.
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