Il governo di Cuba apre ai privati. Castro: “Socialismo sostenibile”

di Federica Ionta *
Pubblicato il 27 Ottobre 2010 - 19:47 OLTRE 6 MESI FA

Raul Castro, fratello di Fidel

Lazaro Ramos è in fila da ore davanti all’ufficio del governo. Sotto il cielo umido dell’Havana, in coda, spera di ottenere una delle 250.000 mila licenze per liberi professionisti che la riforma di Raul Castro ha promesso all’economia di Cuba. La notizia l’ha letta sul Granma Internacional, il giornale ufficiale del Comitato centrale del Partito comunista: il governo dell’isola ha deciso di consegnare ai privati la gestione di alcune attività finora appannaggio esclusivo dello Stato, e di consentire ai proprietari di azienda di assumere dipendenti al di fuori dal nucleo familiare. Lo stato spera così di aumentare le entrate sul lavoro autonomo e le piccole imprese del 400 per cento.

La Gazzetta ufficiale contiene una lista di 178 attività da liberalizzare. Sono carpentieri, clown del circo, allevatori di conigli, elettricisti, carrozzieri e meccanici. Saranno tassati da un minimo del 25 per cento a un massimo del 50, secondo classi di reddito che vanno da cinquemila pesos (160 euro) a cinquantamila l’anno (1600 euro). E’ prevista una tassa del 10 per cento sulle vendite al dettaglio, e un altro 25 per cento da versare in contributi per assumere dei dipendenti. Ma ci sono anche deduzioni a favore dei liberi professionisti per l’acquisto di materiali industriali, trasporti e altre spese.

Una vera e propria rivoluzione per Cuba, che ha abolito l’imprenditoria privata nel 1959 quando il governo di Fidel Castro finì col nazionalizzare l’ultimo pugno di imprese private rimaste attive sull’isola. Da allora gelatai, calzolai, medici, ristoratori, autisti: sono tutti dipendenti dello Stato. Una mole di impiegati pari all’85% della forza lavoro. Un esercito di oltre cinque milioni di persone abituate a vivere con uno stipendio medio di 172 euro l’anno e a fare spese con la tessera sociale.

Poi è arrivata la crisi economica. Il prezzo del petrolio e dei beni alimentari è aumentato mentre sono crollati nickel e zucchero, gli unici due beni di esportazione. La sola voce attiva sulla bilancia dei pagamenti di Cuba, che compra dall’estero l’80 per cento del cibo che consuma, è l’esportazione di servizi professionali: medici che hanno studiato nelle università gratuite cubane e che, per lavorare, vanno all’estero, Venezuela in testa.

Il trasferimento all’estero di medici vale a Cuba oltre seimila miliardi di dollari l’anno, tre volte le entrate generate dal turismo. Ma questa cifra non basta più a mandare avanti l’economia. Per questo il governo, dalla voce di Raul Castro, ha chiesto aiuto ai privati: affinché la liberalizzazione di alcuni mestieri possa creare un mercato privato in grado di assorbire i 500.000 lavoratori pubblici che saranno licenziati dallo Stato entro marzo 2011. Un paradosso nell’unico Paese socialista sopravvissuto per quasi vent’anni al crollo dell’Urss, che dà ai cambiamenti annunciati da Castro, che parla di «socialismo sostenibile», un sapore di rivoluzione.

Oggi a Cuba ci sono 140 mila cuenta propistas (lavoratori autonomi). Ma coloro che aspirano a una nuova licenza sono molti di più. Lazaro Ramos, uno tra tutti, ha fatto domanda per poter produrre pignatte piene di dolci e caramelle, di quelle che si usano nelle feste dei bambini. Ha fatto la fila e ha compilato un modulo con tutti i suoi dati personali. Poi l’ufficiale del governo l’ha mandato via e gli ha detto di ripresentarsi allo stesso sportello dopo due settimane. A Cuba, per ora, non è stata concessa nessuna nuova licenza.

* Scuola di giornalismo Luiss

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