ROMA – Ventottomila pagine di documenti riservati finiti in un’inchiesta internazionale inchiodano il neo-eletto presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker. Quelle pagine, frutto del lavoro dei giornalisti investigativi dell‘International Consortium of Investigative Journalism (ICIJ), raccontano di un Lussemburgo, Ducato grande poco più della provincia di Ancona, che, seppur legalmente, ha permesso a 300 aziende di tutto il mondo, comprese 31 italiane, di godere di un regime fiscale favorevole per evadere le tasse nel proprio Paese. Il tutto organizzato dal colosso PricewaterhouseCoopers.
Così nel mirino del ciclone finisce Juncker, già poco amato, soprattutto dal presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, ma non solo. Per 18 anni Juncker è stato premier del Lussemburgo, e per molto tempo ha esercitato anche le funzioni di ministro delle Finanze e del Tesoro.
E se nel Ducato le pratiche di elusione fiscale delle 300 aziende nominate nell’Inchiesta (tra cui, per esempio, Amazon, Ikea, Deutsche Bank, Procter & Gamble, Pepsi e Gazprom, ma anche le italiane Intesa SanPaolo, Unicredit e Finmeccanica) erano legali, è anche vero che hanno permesso di arricchire il Lussemburgo impoverendo i Paesi di origine, privati del gettito fiscale.
Adesso la Commissione Europea intende indagare sul caso. Probabilmente Juncker resterà al proprio posto. Ma certo è che la fama del “burocrate” che non poco ha lottato per mantenere il segreto bancario nel proprio Paese, si incrina. Ed è probabile che molti membri Ue approfitteranno di questa debolezza per chiedere e ottenere qualcosa, come concessioni sul deficit. Difficile mantenere una credibilità quando si parla di rigore e sanzioni se questo è il background.
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