Manovra, Confesercenti contro apertura libera: "A rischio 32 mila negozi"

ROMA, 31 LUG – La liberalizzazione degli orari d'apertura dei negozi nelle citta' d'arte, prevista dall'ultima manovra, mette a rischio chiusura oltre 30mila piccoli esercizi commerciali.

L'allarme è della Confesercenti, che denuncia così ''un ulteriore vantaggio della Grande distribuzione, cui corrisponde una ingiusta e socialmente pericolosa mazzata al tessuto della piccola e media impresa''.
Confesercenti ricorda che la norma e' stata presentata come provvedimento utile al rafforzamento e alla qualificazione dell'offerta turistica, ma, di fatto, ''potrebbe portare a una indiscriminata liberalizzazione degli orari delle attivita' commerciali e dei pubblici esercizi che non aggiunge nulla alle attuali opportunita', ma che puo' dare un nuovo duro colpo alle attivita' commerciali di vicinato''. L'associazione sottolinea infatti che per le localita' turistiche e le citta' d'arte anche la vecchia normativa consentiva ampie possibilita' di deroghe: con la nuova norma, invece, ''vengono eliminate le 'restrizioni territoriali e temporali'. Vale a dire che per tutti i Comuni, classificati turistici, al di la' della stagionalità, la deroga varrà per 365 giorni all'anno e per tutto il territorio comunale. Stesso trattamento per le citta' classificate 'città d'arte' (praticamente tutte le città capoluogo di provincia italiane) per le quali la possibilita' di apertura, per 24 ore e per 365 giorni all'anno, sara' estesa a tutto il comune, periferie comprese''.

L'associazione dei commercianti ha quindi stimato che, con le nuove norme, i negozi di generi alimentari che rischiano la chiusura, a tutto vantaggio dei grandi supermercati e ipermercati, sono 17mila (il 14,5%), le boutique sono 11.400 (il 6,4%) e gli altri esercizi commerciali 3.300 (il 4%). Per un totale, dunque, di quasi 31mila botteghe che si vedrebbero costrette ad abbassare la saracinesca, favorendo cosi' ''una ulteriore desertificazione dei centri urbani''.

Confesercenti si è così attivata per rappresentare ''l'illegittimità costituzionale e la illogicità economica e sociale del provvedimento'', visto che l'aumento del Pil non si fa con aperture piu' ampie che, invece, ''trasferiscono solo quote di consumi dagli esercizi tradizionali alle grandi concentrazioni commerciali''.

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