ROMA – Mario Draghi, Bce. Quantitative easing e euro debole spiegati ai profani. Mario Draghi ha varato nuove misure non convenzionali di “quantitative easing” da parte della Bce per rilanciare la crescita europea. Ci credono e ci sperano un po’ tutti, a cominciare dai grandi fondi speculativi che infatti stanno scommettendo da un mese su un calo dell’euro.
Tutti sperano ma, a parte gli addetti ai lavori (e spesso nemmeno loro) pochi capiscono. Cosa voglia dire infatti “quantitative easing” non è così chiaro neppure se ricorriamo all’italiano e traduciamo correttamente “allentamento quantitativo”. Proviamo a spiegare il significato economico che spesso resta celato dietro formule idiomatiche di non immediata comprensione.
Quantitative easing. Alleggerimento o allentamento quantitativo è uno dei modi di creare moneta, una prerogativa delle banche centrali: si tratta di iniettare liquidità finanziaria nel sistema economico attraverso operazioni nel mercato. La banca centrale, nel caso odierno la Bce, acquista per una certa quantità prefissata, le attività finanziarie delle banche, cioè azioni, titoli, obbligazioni che come è successo con la crisi economica possono essere anche “tossici” (quando gli istituti di credito non riescono a rispettare gli impegni e rifondare gli investitori).
Le banche in questo modo possono riprendere ad erogare credito e far ripartire l’economia. Questa è definita una misura non convenzionale, perché invece, in maniera diciamo ortodossa, la banca centrale controlla la base monetaria vendendo o acquistando titoli governativi nelle aste periodiche. Acquistando titoli di Stato, i rendimenti dei titoli diminuiscono (sono meno rischiosi), consentendo allo Stato di risparmiare e ridurre il suo indebitamento.
Perché l’euro forte è un problema. L’obiettivo delle misure di Draghi è quello di deprezzare l’euro nei confronti del dollaro e delle altre valute. Un euro forte, come è ai livelli attuali, pregiudica il buon andamento delle esportazioni, aumenta il gap di competitività con i paesi extra europei.
Perché il problema non è più l’inflazione ma il suo contrario, la deflazione. Quando una banca centrale interviene per iniettare liquidità nel sistema economico, il primo effetto è l’inflazione, cioè l’erosione del potere di acquisto della moneta: si genera infatti un prolungato aumento dei prezzi di beni e servizi. Tuttavia, con un’inflazione allo 0,5% siamo vicini alla stagnazione e guardiamo con apprensione allo spettro della deflazione: cioè i prezzi diminuiscono perché la domanda diminuisce. I consumatori, infatti, sono incentivati a differire gli acquisti perché sperano in una ulteriore diminuzione dei prezzi. Il livello ideale di inflazione, stimano gli economisti, deve attestarsi intorno al 2%.
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