Non è la prima volta che ci tocca pagare il prezzo della voglia francese di eliminare Gheddafi. Se oggi rischiamo di perderci una larga fetta del nostro approvvigionamento petrolifero e qualche accordo commerciale, la prima volta ci abbiamo rimesso 81 vite. Più una compagnia aerea, l’Itavia.
Il 27 giugno 1980 infatti, come qualcuno forse ancora ricorda, l’aereo di linea I-TIGI Douglas DC9 della compagnia Itavia in volo da Bologna a Palermo non arriva a destinazione. L’ultimo contatto radio tra i piloti e i controllori di volo a terra è delle ore 20,58. Poi silenzio e buio assoluto. L’unica cosa che si riuscirà ad appurare è che il velivolo è caduto nel mare tra le isole di Ustica e Ponza e i nomi delle 81 vittime. Una strage. Un’altra cosa certa è che la compagnia aerea Itavia fu costretta a chiudere i battenti.
Chi non è più giovanissimo ricorda gli anni di polemiche, di depistaggi e di sospetti sui terroristi fascisti italiani e sui militari americani, che avevavano in corso delle esercitazioni militari in quel tratto di mare. Solo nel febbraio 2007, quasi 28 anni dopo il disastro, il capo del governo all’epoca della strage, Francesco Cossiga, diventato in seguito presidente della Repubblica, si deciderà a svelare di essere stato informato subito dai nostri servizi segreti, insieme con l’allora ministro degli Interni Giuliano Amato, che il DC-9 era stato abbattuto da un missile sparato da un aereo militare francese partito dalla portaerei Clemenceau. Gli americani dunque non c’entravano nulla, se non nei depistaggi.
C’entravano invece i francesi. E che in qualche modo ci fossero di mezzo i libici lo si sospettò quando il 18 luglio di quell’anno, vale a dire tre settimane dopo quel tragico 27 giugno, vennero ritrovati sui monti della Sila, in Calabria, i resti di un Mig libico precipitato con a bordo un pilota, morto sul colpo. Lo stato del suo cadavere era compatibile con l’ipotesi di morte avvenuta tre settimane prima. Iniziò a circolare con insistenza la voce che Gheddafi avrebbe dovuto tornare in volo da Varsavia e che per evitare il rischio di essere abbattuto dagli occidentali il suo velivolo seguiva da vicino la rotta del DC-9, restandone più in basso, per evitare che i radar ne notassero la presenza oltre quella del volo di linea.Era una precauzione che so per certo venisse usata anche da Arafat per evitare di essere centrato da un missile israeliano, come mi hanno raccontato a suo tempo un paio di piloti civili italiani.
L’aereo partito dalla Clemenceau aveva dunque il compito di sparare un missile contro il velivolo con a bordo Gheddafi, ma il sistema di guida, forse del tipo attirato dalla scia di calore emessa dai motori a reazione o forse d’altro tipo, ha sbagliato obiettivo. Forse il Mig precipitato sulla Sila faceva da scorta all’apparecchio di Gheddafi. Sta di fatto che il missile francese anziché accoppare il libico Gheddafi accoppò 81 italiani. O forse il leader libico venne avvertito in anticipo dai nostri servizi, come avverrà del resto nell’86 quando il presidente Usa inviò una squadriglia a bombardare l’abitazione di Gheddafi e questi si salvò grazie a una soffiata voluta a quanto si disse da Giulio Andreotti.
Quando Cossiga nel febbraio 2007 si decise a dire quel che s’era tenuto dentro per quasi 30 anni, mi tornò in mente un particolare. I francesi, non ricordo ora di quale comando, poco dopo la tragedia del DC-9 emisero un comunicato per affermare che loro non c’entravano niente. Ammettevano che sì, nel Mediterraneo c’era la portaerei Clemenceu, ma affermavano che a bordo non risultava mancare nessun esemplare di alcuni tipi di missili, perciò non ne poteva essere stato “sparato” neppure per sbaglio uno contro il nostro aereo.
Sono figlio e nipote di militari dell’aeronautica militare italiana e da ragazzo, oltre a frequentare assiduamente l’aeroporto di Villafranca Veronese, dove mio padre prestava servizio, sognavo di fare il pilota. Mi interessavo pertanto anche di missili. Ovviamente sapevo che si possono lanciare da terra, dal mare e in aria da un aereo in volo. E sapevo che ognuno di questi tre tipi si suddivide a sua volta in altri tre tipi, a seconda che sia lanciato contro obiettivi di terra, di mare o in aria. Il comunicato francese ometteva stranamente un tipo di missile. Ricordo che, insospettito, dalla redazione di Milano dell’Espresso, dove lavoravo all’epoca, feci rilevare per telefono la strana picola dimenticanza od omissione al direttore de L’Espresso di allora, il compianto Livio Zanetti, il quale però ritenne bizzarra o comunque troppo labile la mia traccia per cercare di saperne di più.
E’ un episodio, questo dei miei immediati sospetti sui francesi e annesso metterne a parte Zanetti, sul quale ho scritto più volte nei miei blog, ben prima che Cossiga si liberasse la coscienza nel 2007. Per non dispiacere la Germania e favorirne l’ingresso nella Nato, nel dopoguerra abbiamo nascosto nel famoso “armadio della vergogna” le moltre stragi di nostri connazionali perpretate dai tedeschi durante la guerra partigiana. Evidentemente da qualche parte c’è anche almeno un tiretto della vergogna per non dispiacere anche i francesi.
Non è un caso che, in queste ore, a dar man forte a Sarkozy contro Gheddafi ci sia l’Inghilterra, responsabile con la Francia dei disgraziati confini tracciati con la riga a Londra o a Parigi per i Paesi arabi e africani, Libia compresa, confini inventati a tavolino sapendo bene che avrebbero provocato tensioni, guerriglie e rivolte perché contenevano in troppi Stati troppe etnie tra loro inconciliabili. Come dicevano gli antichi romani, “Mors tua vita mea”.
Quando si tratta di petrolio neppure a Londra vanno per il sottile. Quando, nell’Iran ancora dominato dallo Scià di Persia, le elezioni mandarono democraticamente al governo Mossadeq, costui, stufo di vedere il petrolio iraniano pompato via dagli angloamericani in cambio di cifre ridicole, si mise d’accordo con il nostro Enrico Mattei, padre padrone dell’Eni, per nazionalizzare il petrolio e dare all’Eni ampie concesioni sui pozzi in cambio di prezzi decenti. Mossadeq fece però l’errore di vendere la pelle dell’orso prima di averlo catturato, annunciò infatti i suoi piani prima di realizzarli. Il risultato fu il blocco navale angloamericano dell’Iran e poi un colpo di Stato organizzato da Londra e Washington che portò Mossadeq in galera, i militari al potere e l’Iran nel tunnel di una repressione sempre più feroce dal quale uscì solo cacciando lo scià e accogliendo in trionfo l’ayatollah Khomeini. Mossadeq venne condannato a morte, ma ebbe salva la vita con una condanna all’ergastolo in casa sua. Enrico Mattei invece venne ucciso dall’esplosione del uso aereo nel cielo vicino Pavia.
La morte di Mattei è stata una rappresaglia di Londra? “E’ possibile, ma può essere anche opera dei francesi”, risponde Benito Li Vigni, ex collaboratore di Mattei e grande esperto di petrolio, autore di molti libri sull’argomento, comprese le guerre e le altre tragedie scatenate dall’Occidente per accaparrarsi l'”oro nero” altrui. Perché i francesi? “Perché ce l’avevano a morte con Mattei e l’Eni”, risponde Li Vigni, che spiega: “La Resistenza algerina contro la Francia è stata finanziata proprio dall’Eni, e per volontà di Mattei. Spesso andavo io ad Algeri a portare valige di quattrini per il Fronte Nazionale di Liberazione”.
Come si vede, ovviamente la “democrazia” e l'”umanitarismo” non c’entrano assolutamente niente: business as usual. Ovvero, aggiornando il motto degli antichi romani: “Petrolius tuus et mors tua vita mea”.