Il Medio Oriente è in subbuglio. E il mondo teme di “finire la benzina”

Il prezzo del petrolio sta raggiungendo i livelli più alti da due anni (oltre 100 dollari a barile negli Usa) dopo che il suo flusso dal Medio Oriente è stato interrotto dai tumulti regionali.

Le compagnie petrolifere multinazionali hanno diminuito la produzione in Libia dopo la rivolta popolare contro il colonnello Muammar Gheddafi, e secondo gli analisti un milione di barili di petrolio libico al giorno è stato rimosso nei giorni scorsi dai mercati mondiali, a quanto riferisce il New York Times.

C’è poi il pericolo che la produzione di greggio verrebbe ulteriormente ridotta se i tumulti dovessero estendersi anche ad altri cruciali Paesi produttori, come l’Algeria.

Da un punto di vista generale, gli economisti temono che se i prezzi del greggio quest’anno restassero alti potrebbero rallentare la già fragile ripresa economica globale. Secondo una regola empirica, ciascun aumento di 10 dollari nel prezzo di un barile di greggio riduce la crescita del Pil mondiale di mezzo punto percentuale nel giro di due anni.

La Libia produce meno del 2 per cento del petrolio mondiale, ma l’alta qualità delle sue riserve ingrandisce la sua importanza sui mercati mondiali. Il petrolio ”sweet” della Libia non può infatti essere facilmente rimpiazzato nella produzione di benzina, diesel e carburante per aerei, in special modo da molte raffinerie europee e asiatiche che non sono equipaggiate per raffinare il greggio ”sour”, che contiene più zolfo del ”sweet”.

L’Arabia Saudita ha oltre quattro milioni di barili di riserva ed ha promesso di immetterli sui mercati se necessario, ma si tratta principalmente di greggio ”sour”.

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