Fino a oggi, l’Italia ha investito meno del 28% dei fondi del PNRR: il rischio connesso al ritardo nella spesa si chiama debito.
194,4 miliardi di euro. Questa la somma tesoro che l’Italia avrebbe dovuto spendere per rilanciare il Paese in sei anni. Quattro anni sono già passati, e ne restano dunque soltanto due. Il Paese non riesce però ad accelerare: nel 2024, l’Italia ha speso solo il 20% dei 43,96 miliardi previsti per l’anno in corso, ovvero 8,9 miliardi. Di conseguenza, l’Ufficio parlamentare di bilancio ha dovuto ammettere che l’Italia ha già accumulato un enorme e critico ritardo sul PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). E tutto ciò potrebbe dar forma a un preoccupante aumento del debito.
La maggior parte dei fondi concessi dall’UE è legata a condizioni temporali. Di conseguenza, se questi fondi non vengono utilizzati entro i termini previsti, potrebbero essere revocati o, nella migliore delle ipotesi, ridotti. Tutti i ritardi hanno già comportato e comporteranno costi aggiuntivi per la gestione e l’implementazione dei progetti. Inoltre, bisogna mettere in conto le penalità e gli interessi aggiuntivi per tutti quei progetti per cui le banche hanno versato anticipi. Data l’impossibilità di realizzare molti punti del piano in programma, toccherà quindi pagare per non avere nulla di concreto in cambio.
L’unico modo per risolvere questa situazione così critica sarebbe accelerare. Stimolare la spesa, a livello nazionale e locale. E se ciò risulterà impossibile, l’Italia perderà grossa parte dei benefici del PNRR. Il flop è stato decretato dai numeri contenuti nella piattaforma ReGis (Rendicontazione e Gestione del Sistema), il sistema telematico che monitora l’andamento del PNRR.
Al 2 ottobre, così come rivelato l’Autorità dei conti nell’audizione sul Piano strutturale di bilancio, i pagamenti sono giunti a 53,5 miliardi, ovvero solo 1,3 miliardi in più rispetto alla spesa registrata a fine luglio. La spesa appare disordinata e lenta. Siamo intorno al 27,5% del totale delle risorse del PNRR. Intanto, a fine giugno 2024, il Governo Meloni ha inoltrato alla Commissione europea la richiesta per la sesta rata. E pochi giorni dopo la Commissione ha autorizzato il pagamento della quinta rata, da 11 miliardi, subito versata agli inizi di agosto.
E la maggior parte dei fondi è stata finora usata per il Superbonus (il 62%, cioè quasi 14 miliardi), da molti considerato un investimento poco equo e su cui si sono registrati molti abusi. Gli altri soldi sono stati spesi in crediti d’imposta automatici (altri 13,4 miliardi). Pochissimo si è fatto nell’investimento pubblico.
Il sistema ReGiS, il terminale dove le amministrazioni centrali e territoriali sono chiamate ad adempiere ai loro obblighi di monitoraggio, rendicontazione e controllo delle misure e dei progetti finanziati dal Piano, rivela dunque che l’Italia non è ancora riuscita a spendere per migliorare l’efficienza e l’efficacia delle istituzioni pubbliche. E che languono anche gli investimenti infrastrutturali, cioè i grandi progetti per migliorare trasporti, energia e digitalizzazione. Ai ritmi attuali, per completare il piano, l’Italia avrebbe bisogno non di due anni, ma di altri dodici.
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