Nauru e Niue, gli unici 2 paradisi fiscali rimasti nella lista nera dell’Ocse

PARIGI – Nauru e Niue sono gli ultimi due paradisi fiscali rimasti nella lista nera dell’Ocse. Dei 42 paesi che figuravano nel 2009 nella lista delle giurisdizioni poco trasparenti soltanto questi due Stati sono ancora iscritti nell’elenco dei cattivi. Sconosciuti ai più ma notissimi agli oltre 2 milioni di società che mietono ancora utili esentasse.

Nauru è un atollo di 21 km quadrati disperso nell’oceano Atlantico e considerato la repubblica indipendente più piccola al mondo. Niue è un’isola-nazione, altrimenti nota come Roccia della Polinesia: 251 km quadrati per 4500 anime. Considerati impermeabili alle pressioni del mondo in materia di trasparenza sono loro gli unici due paesi ad essere considerati ancora pericolosi.

Possibile che gli altri centri offshore in appena quattro anni siano riusciti ad aggiudicarsi un posto nel club dei Paesi fiscalmente trasparenti? La verità è che fatta legge, trovato l’inganno: quando i paesi del G20 si riunirono il 2 aprile 2009 per stilare una lista dei buoni e dei cattivi nella lotta all’evasione fiscale, i venti di crisi soffiavano già da due anni e i governi nazionali faticavano a tenere il polso duro, preferendo scendere a compromessi con i paradisi fiscali in cambio di un qualche sollievo per le disastrate finanze pubbliche.

Così tra i cattivi non figurano più Svizzera, San Marino, Isole Cayman, Monaco o Singapore: tutti assolti dai peccati del passato, dopo la firma di accordi fiscali bilaterali redatti sul modello Ocse. Ma restano quei 2 milioni di società che sottraggono ancora al Fisco fondi neri portandoli all’estero.

Ad analizzare le ragioni del fallimento è il quotidiano Italia Oggi:

Se è vero che i vecchi paradisi fiscali hanno messo in atto uno sforzo sorprendente per allinearsi alle richieste del G20 adeguando i propri modelli di convenzione fiscale all’articolo 26 del modello Ocse, è vero anche che questi formalismi di carattere amministrativo non sono stati sufficienti a mettere al riparo i Paesi onesti dalle pratiche scorrette dei centri offshore. E i numeri parlano chiaro: oltre 2 milioni di società fantasma ancora oggi macinano utili non tassati in oltre 50 Paesi del mondo. E che 21 mila miliardi di dollari riposano indisturbati nei forzieri dei centri offshore dopo essere sfuggiti ai controlli del Fisco.

I buoni propositi del G20 sono stati disattesi. In parte, per via delle maglie a trama larga di un’architettura tributaria internazionale risalente alla metà del secolo scorso e scarsamente aggiornata. Ma anche al protrarsi della crisi finanziaria internazionale che ha impedito a molti Paesi di continuare a muoversi con il pugno di ferro nei confronti di alcuni paradisi fiscali, preferendo scendere a compromessi con loro nel tentativo di ottenere un qualche beneficio per le martoriate finanze pubbliche. La conferma è arrivata nei giorni scorsi dalla stessa Organizzazione di Parigi che ha dovuto fare un mea culpa ammettendo l’insuccesso della ricetta presentata al G20 dell’aprile 2009.

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