ROMA – Nazionalizzare, la parola corre. Corre e scorre tra i sindacati e tra i ministri e tra i partiti. E in fondo anche nella pubblica opinione la parola nazionalizzare scivola abbastanza fluida. Le multinazionali se ne vanno, mollano, ex Ilva. Altre aziende letteralmente non decollano, Alitalia. Altre ancora annaspano in crisi da abbandono padronale, il settore del bianco, degli elettrodomestici cosiddetti bianchi. Ci sono ovunque migliaia, anzi decine di migliaia di posti di lavoro e di famiglie da proteggere e salvare. Che si fa? Si nazionalizza.
Nazionalizzare, è una parola…Nazionalizzare costa una montagna di soldi. L’ex Ilva perde attualmente due milioni di euro al giorno, al giorno! Non riesce a produrre che la metà dell’acciaio previsto (non lo produce anche perché non lo vende) e quindi vuole tagliare il numero dei dipendenti, anzi vuole proprio mollare. Disperante la risposta dei sindacati: deve produrre subito otto milioni di tonnellate, il doppio di quanto fa. Una nazionalizzazione degli impianti e dell’impresa glielo imporrà per decreto di produrre otto milioni invece di quattro? Lo Stato stoccherà in giganteschi magazzini l’acciaio invenduto?
Piaccia o non piaccia, se si rimprovera ad Arcelor Mittal di voler fuggire da qualcosa che opera in perdita si deve ammettere che farsi carico di quel qualcosa, nazionalizzare costa una montagna di soldi. Miliardi di euro nel caso dell’ex Ilva. Chi ce li mette? C’è nel paese la consapevolezza che nazionalizzare vuol dire metterci miliardi di euro da trovare per via fiscale che altra via non c’è?
D’altra parte chiudere ex Ilva non si può: decine di migliaia in mezzo a una strada, addio alla siderurgia italiana, botta al Pil nazionale di circa 18 miliardi, ad un Pil già pallido e asfittico. Chiudere ex Ilva e chiudere bottega per il governo coinciderebbero. Ma per nazionalizzare né il governo né il paese hanno i soldi. Ci vorrebbe, anche per nazionalizzare, un governo saldo e un paese che crede in se stesso e accetta il prezzo della responsabilità collettiva. Condizioni che entrambe non ci sono.
Nazionalizzare dicono a M5S e dalla parti di Leu. Ma in generale non sanno quel che dicono. E poi se nazionalizzi niente meno che ex Ilva di Taranto e impianti Arcelor di tutta Italia come fermare qui il principio e la pratica della nazionalizzazione? Già di fatto Alitalia è nazionalizzata, almeno per quel che riguarda chi ripiana il bilancio, chi ci mette i soldi a perdere: da anni e anni lo Stato, anzi il contribuente. Nazionalizziamo definitivamente anche Alitalia? E quante altre aziende in crisi più o meno profonda? Stabiliamo il principio, anzi il diritto, ad essere nazionalizzati quando l’imprenditore molla o l’impresa non va?
Nazionalizzare, una parola. Pronunciata con inconsapevolezza infantile da politici e sindacalisti, Pronunciata per illudere la gente e se stessi. Quel che lo Stato può e deve fare è, se Arcelor molla, tenere in vita gli impianti, affidarli a Commissari che cerchino compratore e gestore. Qualcuno che compri e gestisca alle condizioni di mercato. In fondo quel che Stato italiano aveva già fatto per l’ex Ilva, salvo poi pasticciare di ideologia e propaganda con la storia dello scudo penale, salvo poi dare ad Arcelor Mittal l’alibi sì, ma di ferro, per scappare.
Ricominciare dunque, con pazienza e senza raccontare balle, cosa difficilissima per la politica attuale. Ex Ilva non si può chiudere (nonostante la cosa non dispiacerebbe agli ineffabili del MoVimento e agli Emiliano della situazione). Non si può chiudere, sarebbe un fallimento del sistema paese. Ma non si può mettere tutta e tutta quanta così come è in carico allo Stato (nonostante la cosa piaccia ai sindacati e alla politica). O meglio, si può. Ma il costo in sonanti soldoni è altissimo, tale da spingere l’intero paese ai margini della non affidabilità di bilancio (già i mercati considerano i nostri titoli di Stato più pericolosi di quelli greci).
Nazionalizzare, ex Ilva, Alitalia e quanti altri ancora? Qualcuno li perdoni perché non sanno quello che dicono.