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Niente manovra. Italia-Francia anti-austerity. Katainen: “Rispettate gli impegni”

di Warsamé Dini Casali |1 Ottobre 2014 13:54

Niente manovra 2015. Governo anti-austerity: “Rinvio pareggio di bilancio al 2017”

ROMA – Niente manovra. Italia-Francia anti-austerity: “Rinvio pareggio bilancio al 2017”. Nella legge finanziaria del prossimo anno l’Italia non metterà la manovra, rinvierà il pareggio di bilancio di un anno, sfiorerà il tetto sul defict al 3%. La Francia, contestualmente, annuncia che respinge le misure di austerity e il suo rapporto deficit/pil si attesterà quest’anno al 4,4%, nel 2015 al 4,3%.

L’affondo del Governo Renzi in contrasto con il dogma europeo dell’austerity segnala un cambio di passo in direzione della crescita con accantonamento parziale degli obiettivi storici di riduzione di debito e deficit.

Non è sola l’Italia. Anche la Francia si sfila dall’abbraccio regolamentare, dalla camicia di forza del rispetto dei vincoli di bilancio: “Abbiamo preso la decisione di adattare il passo di riduzione del deficit – spiega il ministro delle Finanze, Michel Sapin – alla situazione economica del paese. La nostra politica economica non sta cambiando, ma il deficit sarà ridotto più lentamente del previsto a causa delle circostanze economiche”.

La nota del ministro francese non può essere più esplicita: la Francia “respinge l’austerity”. Perché, come spiega anche Padoan, un’altra stagione di “lacrime e sangue” renderebbe ancor più fosche le prospettive di crescita. “Siamo in una situazione che richiama circostanze eccezionali” quindi è “lecito immaginare un rallentamento del processo di aggiustamento del saldo strutturale, che avverrà in misura positiva ma ridotta rispetto a quanto immaginato nel def di aprile” ha dichiarato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.

Katainen: “Rispettate gli impegni”. La prima risposta dall’Europa, in attesa che a metà ottobre il Def italiano giunga a Bruxelles, suona interlocutoria. “Valuteremo il progetto di legge di stabilità alla luce degli impegni presi nelle raccomandazioni, la nostra posizione è che gli impegni vanno rispettati”, ha dichiarato il portavoce del commissario e vicepresidente responsabile per il lavoro, la crescita, gli investimenti e la competitività Jyrki Katainen (descritto come falco dell’austerity).

L’Italia si concederà un anno di pausa e di respiro nel tragitto concordato per raggiungere il pareggio di bilancio. Il Pil registrerà un -0,3% nel 2014 per poi crescere dello 0,6% nel 2015 grazie “all’impulso positivo della Legge di Stabilità” precisa Padoan illustrando la nota di variazione del Def. Il deficit sarà quest’anno al 3% e al 2,9% l’anno prossimo, di fatto facendolo scivolare dal 2,2% del pil previsto, al 2,9%, giusto un filo sotto il tetto di Maastricht.

“A partire dal 2016 si riprenderà” l’aggiustamento strutturale dello 0,5% “che porterà nel 2017 al pareggio di bilancio” aggiunge Padoan, segnalando come il quadro dei conti si è troppo deteriorato per fare diversamente. Dunque spazio alla crescita, gli 80 euro, aggiunge, saranno confermati, sarà “rafforzato il taglio del cuneo per le imprese, ci saranno importanti risorse per ammortizzatori sociali e risorse che permetteranno un superamento progressivo del patto di stabilità interno”.

Di fatto, dei circa 20 miliardi di manovra in cantiere per il prossimo anno oltre la metà verrà proprio dal peggioramento del disavanzo: dal 2,2 per cento di deficit tendenziale si scivola al 2,9: i miliardi liberati sono circa 11. Il resto sarà ottenuto con la revisione della spesa, ridimensionata almeno per il momento rispetto agli obiettivi iniziali (circa 6-7 miliardi), e con una riduzione di alcune agevolazioni fiscali, le cosiddette tax expenditures, per 2-3 miliardi.

Lo sfondo è quello di un prodotto interno lordo in contrazione anche per il 2014, dello 0,3 per cento. Il ritorno alla crescita avverrà il prossimo anno, con 0,5 per cento che le politiche del governo potrebbero lievemente incrementare fino allo 0,6. Di un decimo di punto migliorerebbe anche la disoccupazione, scendendo dal 12,6 al 12,5 per cento. (Luca Cifoni, Il Messaggero)

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