Per uscire dal lavoro, nel 2025, le regole diventeranno più stringenti: si punta sugli incentivi per tenere gli italiani lontano dalla pensione.
Il Governo non intende cancellare del tutto le misure esistenti di uscita anticipata (Ape sociale, Opzione donna e Quota 103), ma già si parla di regole ancora stringenti per le uscite dal lavoro. Dunque, in attesa della riforma strutturale che l’esecutivo vorrebbe poter portare a termine entro fine mandato, la principale novità sulla pensione nel 2025 potrebbe essere la conferma dell’Ape sociale, la misura anticipata per i lavoratori vulnerabili.
La pensione anticipata, introdotta più di sette anni, può essere raggiunta soltanto da alcune categorie di lavoratori (dipendenti, autonomi e iscritti alle Gestioni separate dell’INPS). Cargiver (con almeno sei mesi assistenza a soggetti con handicap gravi, coniuge o parente di primo grado convivente), disoccupati, invalidi civili (al 74%) e lavoratori con mansioni gravose. I requisiti base rimandano al versamento di almeno trent’anni di contributi, tranne che per i lavoratori gravosi che ne devono avere almeno trentasei e i dipendenti delle imprese edili e affini che ne devono avere trentadue. Per le donne con figli, invece, i requisiti contributivi richiesti sono ridotti di dodici mesi per ogni figlio, nel limite massimo di due anni.
Chi possiede tutti i requisiti potrà presentare domanda e poi lasciare il lavoro a sessantatré anni e cinque mesi. Ovvero con cinque mesi di ritardo rispetto al 2023. Si era parlato di un possibile intervento per abbassare i requisiti anagrafici, ma al momento non sembra che il Governo abbia intenzione di attivarsi in merito.
Incentivi fiscali per chi non accede alla pensione anticipata nel 2025
L’esecutivo si sta concentrando su altre questioni. Per la pensione 2025, l’obiettivo principale è rilanciare il Bonus Maroni. In questo senso chi sceglierà di continuare a lavorare pur avendo i requisiti per l’accesso alla pensione anticipata potrà ancora chiedere di avere in busta paga la propria quota di contributi, cioè il 9,19% della retribuzione a carico del lavoratore.
Nel 2024 il Bonus Maroni è stato quel che si dice un flop: pochissime persone (qualche centinaio, secondo i dati INPS) hanno richiesto il bonus. Proprio per questo, il Governo starebbe pensando a renderlo più interessante. Come? Introducendo per esempio l’esenzione fiscale per i contributi o la riduzione della tassazione, come è già avvenuto per gli aumenti previsti dai contratti di secondo livello. L’altra ipotesi al vaglio è quella di prevedere il mantenimento della quota di pensione piena per chi decide di continuare a lavorare pur avendo la possibilità di andare in pensione, considerando per la parte in busta paga una contribuzione figurativa. Una possibilità che potrebbe essere anche estesa a chi ha i requisiti per Quota 103. Anche a quelli che hanno maturato quarantadue anni e dieci mesi di contributi.
Ha senso… il bonus Maroni non è stato richiesto perché è stato percepito come scarsamente conveniente sotto il punto di vista fiscale. E c’è dell’altro. L’esecutivo vorrebbe estendere per almeno sei mesi il silenzio assenso per il conferimento del TFR alla previdenza integrativa. La soluzione non dovrebbe valere solo per i nuovi assunti ma anche per coloro che sono già occupati ma non hanno già conferito il trattamento maturando ai fondi. Per non farlo dovranno quindi dirlo esplicitamente. In mancanza di comunicazione il FTF dovrebbe andare direttamente al fondo di previdenza della categoria.