BERLINO – Dimenticatevi gli eurobond subito, Berlino mette le mani avanti e boccia lo strumento più invocato al momento gelando le speranze di chi sperava in suo annuncio imminente, giusto in tempo per arginare la nuova tempesta finanziaria e salvare il destino dell’euro. Magari già al prossimo vertice di fine giugno. La nota del portavoce del governo tedesco, Steffen Seibert, non ammette equivoci, in questo senso è chiara e comprensibile per fugare ogni ipotesi di fughe in avanti: ‘”Il governo tedesco ritiene al momento completamente inadatti gli eurobond per uscire da questa crisi. La cancelliera ha più volte ribadito che si può pensare ad uno strumento del genere solo alla fine di un processo di integrazione politica europea più grande. Stiamo parlando di molti anni”.
Per cui il “masterplan”, il grande piano per sconfiggere la crisi nell’Eurozona, partirebbe già monco, l’intervento che si voleva risolutivo viene ridimensionato a petizione di intenti per i prossimi anni. Piano ambizioso e per certi versi epocale, orientato a una maggiore integrazione con l’unione fiscale e politica dei 17, è stato affidato a Mario Draghi, Bce, Jean-Claude Juncker, Eurogruppo, Hermann Van Rompuy del Consiglio Europeo, José Manuel Barroso della Commissione Europea. Il progetto comprende un maggior controllo della Ue sui bilanci nazionali, una vigilanza europea sul sistema bancario, ampliamento degli ambiti comuni di politica estera e difesa, riforma del welfare sul modello dell’agenzia 2010 del governo Schroeder.
L’Europa, al momento, è divisa su due grandi correnti di pensiero, alternative e non conciliabili. Le nazioni più preoccupate dai rischi del contagio, Francia in testa, spingono per utilizzare strumentio come gli eurobond per distribuire il fardello del debito su più spalle, a cominciare da quelle più solide della Germania. Gli altri, allineati dietro Berlino, sostengono che una politica monetaria comune necessita di una politica fiscale omogenea con conseguente cessione di sovranità da parte degli stati membri. Come abbiamo visto, come ci ha ricordato il portavoce del governo tedesco, si tratta di un processo lungo, ci vorranno degli anni, e solo in quel contesto gli eurobond saranno un’opzione praticabile.
Al di là di questa alternativa secca non si scappa. Il presidente del Consiglio Monti, impegnato con Francois Hollande nell’assedio a Berlino per convincerla a dire sì agli eurobond, ha dichiarato che “in un modo o nell’altro” li avremo. Più che modo dovremmo parlare di tempo. Se gli eurobond li avremo fra qualche anno, è perfettamente inutile invocarne l’utilizzo immediato se non per mostrare all’opinione pubblica di aver smosso un po’ le acque. Ma si tratta di trascurabili increspature su una superficie da calma piatta. Immobilità che non è sfuggita di certo ai mercati. A parole tutti si affannano, si prodigano per offrire soluzioni alla crisi. Anche il premier spagnolo Rajoy, alle prese con una rotta di governo sconvolta da un sistema bancario che sembra non tenere più senza ausili esterni, invoca “una nuova architettura” per l’Eurozona.
Ha spiegato che questo significa mollare redini importanti di politica fiscale (cioè meno potere), spiegherà che i libri contabili degli istituti di credito li leggeranno a Bruxelles e non saranno nascosti a Berlino? E Monti, Hollande, Rajoy, spiegheranno alle opinioni pubbliche di riferimento, agli elettorati già sedotti dalle sirene anti-europeiste, che unione fiscale, unione bancaria, unione politica, vuol dire più Europa e dunque più “tecnici” e meno politica? Per dire, una riforma del lavoro o delle pensioni soarà decisa a misura tedesca senza nemmeno il paravento di una discussione parlamentare. Cedere porzioni importanti di sovranità politica non sarà una passeggiata: dovranno farlo politici riluttanti per mestiere (nessuno si ridimensiona volontariamente) con l’appoggio di elettori già dichiaratamente ostili. Dopo, solo dopo, potranno mettersi dietro lo scudo tedesco.
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