I single protestano, e non hanno tutti i torti: il cuneo fiscale per chi vive da solo è tra i più alti dell’Eurozona.
In termini di tassazione sulle spalle dei single, l’Italia è la pecora nera d’Europa. E a pagarne le conseguenze sono appunto le famiglie composte da una sola persona. La fotografia scattata dall’OCSE rivela che la situazione per i tantissimi single italiani è parecchio sfavorevole, specie rispetto a ciò che accade negli altri Paesi europei. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, il dato è chiaro e preoccupante: il cuneo fiscale per i single in Italia è tra i più alti in Europa.
Ciò significa che la differenza tra il costo del lavoro per il datore di lavoro e il salario netto del lavoratore è assai elevata. Diciamo pure insostenibile. In confronto, anche Paesi con una più alta pressione si redditi da capitale (come la Danimarca, la Finlandia e l’Irlanda) riescono a gravare meno sulle finanze dei single. Questo perché, in termini di tassazione complessiva sui redditi da lavoro, pretendono molto meno di quanto avviene in Italia.
Nel nostro Paese ci sono le aliquote più elevate. Ma non è ovviamente solo questo a penalizzare le persone non coniugate e senza figli. Appare evidente che i single non siano tutelati in alcun modo dallo Stato. E la situazione potrebbe anche peggiorare con la nuova Manovra: il Governo sta infatti ragionando sulla possibilità di ridurre le tasse alle famiglie numerose e di rimodulare i vari bonus esistenti sempre in base al numero dei figli.
Naturale dunque che i single italiani si ritengano quasi dei cittadini di Serie B. Di certo pagano troppe tasse rispetto alle famiglie. Lo ha appunto confermato anche l’OCSE, ricordando in più di un’occasione che il cuneo fiscale per i single è effettivamente più alto. Il problema non è affatto marginale, dato che i single in Italia sono circa 8,4 milioni. Una famiglia su tre è insomma composta da un solo individuo.
In questo senso, promuovere unicamente i sostegni economici alle famiglie è discriminatorio. In Italia c’è il problema della natalità: si fanno pochi figli e tutto il sistema economico (dalle imprese alla previdenza sociale) rischia di collassare a causa dell’eccessivo invecchiamento della popolazione, ma penalizzare i single non appare come una risposta funzionale da nessun punto di vista.
Il vero problema, il più delle volte, è a monte. Tantissimi italiani non mettono su famiglia non per scelta ma per impossibilità pratica: senza un lavoro fisso, senza una casa di proprietà e senza certezze nei confronti del futuro, rimandano e poi rinunciano al progetto di vita della famiglia con figli.
Ed è inutile parlare di cosa avveniva in passato, di volontà di sacrificio, povertà diffusa e valori perduti. Un tempo i poveri non avevano paura di mettere al mondo tanti figli. Ma quel mondo non c’è più e, comunque, non sarebbe più tollerabile far crescere dei bambini senza poter garantire loro alcun tipo di sicurezza materiale.
Un single non risparmia. Spesso, le persone sole affrontano spese per la casa particolarmente gravose, spendono cifre più consistenti per la vita sociale, per l’alimentazione e per le assicurazioni. Subiscono imposte poco eque (in proporzione pagano di più per i rifiuti, per esempio, ma anche per il canone televisivo) e non possono godere di tutte le esenzioni attive per le famiglie.
Nel 1927, il Fascismo istituì una tassa sul celibato: gli uomini non sposati dovevano versare un’imposta di 70 lire (che diventavano 100 per i cinquantenni). La tassa doveva servire a favorire la natalità (il regime voleva più lavoratori e più soldati). Ma non funzionò, e la popolazione calò. Nel 1943, caduto il Fascismo, cadde anche quella legge assurda. Ora il Governo, così come dichiarato dal ministro Giorgetti, studia un intervento nella Manovra 2024 per aumentare le detrazioni IRPEF alle famiglie. Un modo velato per far cassa sui single?
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