Debito ossessione sovrana: welfare nazionale, tagli globali

di Dini Casali
Pubblicato il 19 Aprile 2011 - 11:07| Aggiornato il 14 Luglio 2011 OLTRE 6 MESI FA

In America, interessata all’esperimento inglese, l’approccio non può che essere modulato in maniera differente: seguire le linee guida anche del più conservatore dei governi europei è considerato un pericoloso scivolamento di tipo socialista. Cittadini e governi locali del Regno Unito soffrono sulla loro pelle la riduzione dei servizi come il taglio all’assistenza degli anziani, ai programmi di supporto alle politiche giovanili o alla raccolta rifiuti. Ma icone come il servizio sanitario nazionale non sono state toccate. I repubblicani americani hanno invece messo nel mirino proprio i programmi sanitari tipo Medicare, rivedendo drasticamente le riforme di Obama. In America una tassazione come quella  inglese al 50% per i redditi dei ricchi, è un’idea semplicemente marziana. Tuttavia, il più grosso dei problemi inglesi, nonostante una sforbiciata di 300 mila impiegati pubblici fino al 2014, è l’incubo della recessione.

Se in Europa il giudice ultimo sulla bontà delle politiche di risanamento dei debiti sovrani è rappresentato dal mercato dei titoli, in Usa, grazie anche agli acquisti cinesi, la domanda globale dei titoli del tesoro americano e i corrispettivi bassi tassi di interesse avevano ridotto la pressione sul governo a far presto per diminuire l’astronomico debito di quasi 15 mila miliardi cui l’avevano portato i dissennati tagli alle tasse diGeorge Bush figlio, tra l’altro a principale beneficio dei super ricchi che oggi strizzano l’America e il resto del mondo per la gola. La decisione di Standard & Poor che minaccia di abbassare il rating sul debito sovrano Usa accelera questa pressione a far presto. L’agenzia di rating ha voluto sottolineare come il rischio di bancarotta è legato all’outlook, giudicato negativo invece che stabile, ovvero scommette su aspettative fosche di crescita che minano la sicurezza sulla solvibilità dei titoli.

Il rischio di un nuovo crollo dell’economia mondiale appare in questo momento legato alla paralisi dei governi: in questo caso, non è la finanza sotto accusa, ma la politica. L’intervento di Standard & Poor (un errato giudizio politico secondo la Casa Bianca) spinge l’amministrazione a decidersi a trovare un accordo coi repubblicani definitivo. O le lacrime e sangue con tagli in dieci anni da 6 mila miliardi, con il quale i repubblicani smantellerebbero sanità e sistema pensionistico. O il piano Obama, con tagli più digeribili, programmati fino al 2012 per 4 mila miliardi complessivi e con la promessa di recuperare qualcosa dal ripristino delle tasse ai super-ricchi eliminate da Bush. Oppure un accordo.

Già l’accordo. Il ministro del Tesoro Tim Geithner avverte che l’attuale tetto del debito – fissato per legge a 14,3 trilioni di dollari – sarà raggiunto il 16 maggio e senza un’intesa per elevarlo dovrà ricorrere a “soluzioni contabili” per scongiurare l’insolvenza “per almeno due mesi” mentre sul fronte opposto i repubblicani di Jon Boehner rispondono che “vogliamo evitare il default, sappiamo è una questione seria e siamo pronti ad elevare il tetto del debito per fare fronte agli impegni internazionali già assunti ma non daremo carta bianca al presidente senza ottenere importanti riduzioni del deficit e del debito”. Tantopiù che Obama di aumenti di tetto del debito ne ha già chiesti e ottenuti 3 in altrettanti anni. In concreto ciò significa che nei prossimi 30 giorni il presidente della Camera Boehner, e il suo braccio destro Paul Ryan, capo della commissione Bilancio, chiederanno a Geithner di rimettere mano al piano di Obama chiedendo di salvare gli sgravi fiscali di Bush, evitare i tagli militari ed accettare dei pesanti compromessi anche sulla Sanità.

La palla passa ora a Obama: è lui che deve convincere la base sulla ineluttibilità di certi dolorosi tagli. Dovrà spiegare lo stop ai fondi per gli aborti delle donne povere negli ospedali di Washington, affrontare lo sconforto dei ceti meno abbienti che in gran parte sono composti da afroamericani, dovrà confutare Cornel West, docente di Princeton e popolare voce della comunità nera, che gli imputa di essere “prigioniero di un team della Casa Bianca a cui non interessano poveri e minoranze”. Dovrà trovare le parole per convincere il Paese tutto. Le stesse ispirate parole che convincano i prossimi Vincent Gray a non incatenarsi davanti al Congresso.