OffshoreLeaks: il gioco sporco delle banche, da Deutsche Bank a Credit Suisse

ROMA – OffshoreLeaks: il gioco sporco delle banche, da Deutsche Bank a Credit Suisse. Una colossale evasione fiscale su scala planetaria costruita attraverso 120 mila società di comodo e conti bancari nei paradisi fiscali coordinati da alcune tra le principali banche del mondo, come la tedesca Deutsche Bank e le svizzere Ubs e Credit Suisse attraverso la sua controllata Clariden. “Molte delle grandi banche hanno lavorato aggressivamente per fornire ai propri clienti compagnie coperte dal segreto alle isole Vergini e altri paradisi fiscali”, emerge dall’inchiesta Offshoreleaks.

Di tutto questo meccanismo hanno beneficiato oltre 130 mila persone di 170 Paesi: uno scandalo finanziario che ha messo in luce il mostruoso processo che, grazie soprattutto alla costituzione di società offshore, ovvero nei paradisi fiscali, metteva al sicuro dai tributi ingenti capitali. Si parla di una cospicua fetta di quella gigantesca montagna di soldi – quantificata da alcuni studi tra i 21 e i 32 miliardi di dollari – custoditi dove le leggi sul fisco e il segreto bancario favoriscono l’agognato anonimato di molti contribuenti e anche di alcuni detentori di ricchezza di dubbia provenienza.

Il sistema è stato realizzato attraverso i più disparati meccanismi nei diversi Paesi coinvolti, dall’utilizzo di prestanome allo ‘schema Ponzi’, una sorta di struttura piramidale truffaldina che, grazie alla promessa di facili guadagni e l’ingresso di continui investitori, permette alle menti del sistema di lucrare grosse somme. Più o meno quello che aveva messo in campo Madoff negli Stati Uniti. Altri meccanismi a scopo di evadere o, nel migliore dei casi, eludere il fisco è incentrato però sulle stesse banche, che in alcuni casi assicuravano ai propri clienti società ‘scudate’ rispetto alle richieste dell’Erario grazie appunto alla residenza delle società in Paesi dove è garantito il segreto bancario, come appunto le britanniche isole Vergini.

Clariden, braccio operativo di Credit Suisse, consentiva ad esempio alti livelli di segretezza per alcuni clienti, così tanto che, come si legge nel sito dell’Icij, la stessa polizia e i diversi regolatori nazionali si trovavano sempre di fronte a un muro e non riuscivano a risalire ai reali possessori dei beni. Alcuni istituti coinvolti si rifiutano di commentare lo scandalo trincerandosi appunto dietro la segretezza dei conti. Ubs assicura di avere applicato alti standard internazionali previsti per la lotta al riciclaggio e al crimine e che il ricorso e i contatti con TrustNet, una delle strutture coinvolte, è solo uno degli 800 servizi messi a disposizione della clientela per predisporre i piani sanitari e di assicurazione.

TrustNet si descrive come un ‘One-stop-shop’, fa sapere Icij: il suo staff include avvocati ed esperti fiscali in grado di gestire i pacchetti dei loro clienti, così come creare società nei paradisi fiscali o strutture sofisticate che lavorano attraverso Trust, società, fondazioni e prodotti assicurativi. Quando creavano queste società per i clienti, le società di servizio Offshore offrivano però anche falsi direttori e azionisti, si rileva dall’inchiesta, questo serviva appunto per nascondere i reali proprietari e azionisti delle società. L’analisi del Guardian, uno dei media coinvolti nelle rivelazioni, ha individuato 28 ‘teste di legno’ che sono servite come rappresentanti di oltre 20mila compagnie. In tutto sono una ventina le banche svizzere finite nell’inchiesta, secondo il quotidiano svizzero Le Matin, altro media partner di Icij, secondo cui solo Ubs “ha creato almeno 2.900 società di comodo”, mentre Credit Suisse “almeno 700”.

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