ROMA – C’è un modo per utilizzare e investire l’oro della Banca d’Italia, senza però venderlo? Torna sull’argomento Il Sole 24 Ore: Fulvio Coltorti e Alberto Quadro Curzio hanno riproposto il progetto “Bankoro”, partendo dalla premessa, inoppugnabile, che la Banca d’Italia soffre di un eccesso di patrimonializzazione, di cui l’oro è solo un asset, che può essere utilmente trasformata in risorse per lo sviluppo. Potrebbe contribuire, solo attraverso un’operazione contabile, a migliorare il core-tier 1 (il criterio che la Bce impone sul livello di capitalizzazione minimo) degli istituti di credito (come Unicredit e Intesa Sanpaolo) liberandone la capacità creditizia. Per dimensione e mezzi propri, Banca d’Italia non ha termini di paragone in Europa: il piano non ne pregiudicherebbe autonomia e solidità.
Tre sono i dati di fatto da cui la proposta prese le mosse. Il primo è la Legge 2005, n. 262 (articolo 19), con la quale fu avviata la riforma dello statuto della Banca centrale, che aveva come termine attuativo il 31 dicembre 2008. Entro la fine del 2008 avrebbe dovuto essere definito, mediante un regolamento, l’assetto proprietario della nostra banca centrale escludendo i soggetti privati dall’«azionariato». Il che non è accaduto in palese violazione della norma. Il secondo fatto è che la Banca d’Italia detiene 79 milioni di once di riserve auree pari a oltre 2.400 tonnellate (superate nell’Uem solo da quelle della Germania pari a 109 milioni).
Diversamente da altre banche dell’Eurosistema e dalla Bce, la Banca d’Italia non ha mai venduto oro dal 1999, da quando vige il «Central Bank gold agreement». Il terzo fatto è che il progetto Bankoro non prevede la vendita di oro italiano, ma solo di rivalutarlo per liquidare le partecipazioni dei privati nel capitale della Banca d’Italia. Il perno della proposta sta nella valorizzazione (ripetiamo, non nella vendita) dell’oro iscritto nel bilancio della Banca d’Italia con il suo conferimento a un’entità sua affiliata e il conseguente pagamento alle casse dello Stato dell’imposta sulle plusvalenze che verrebbero realizzate; con tali somme lo Stato si renderebbe acquirente di quelle stesse quote attraverso un veicolo finanziario costituito ad hoc. (Fulvio Coltorti e Alberto Quadro Curzio, Sole 24 Ore)
Le banche beneficiate, a fronte delle plusvalenze realizzate con la cessione delle quote in Banca d’Italia, avrebbero più risorse per finanziare investimenti, magari in ricerca e sviluppo. Con il trasferimento delle riserve auree a un’autorità controllata dal Tesoro scaturirebbe un gettito erariale valutabile in una ventina di miliardi di euro che “potrebbero essere usati dal Ministero dell’Economia per un aumento del capitale della Bankoro spa. che disporrebbe quindi dei mezzi per acquistare il controllo dell’89,33% del capitale della Banca d’Italia“.
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