Pane, ormai fa concorrenza all’oro. In Italia il più caro è a Milano

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 22 Ottobre 2011 - 08:27| Aggiornato il 28 Ottobre 2011 OLTRE 6 MESI FA

foto Lapresse

MILANO – Siamo così distratti dai prezzi di beni superflui da non badare al costo di un genere di prima necessità, come il pane. Eppure il costo di una pagnotta è un fedele termometro della crisi, e senza andare a rispolverare le mille rivolte del pane e del grano che popolano i libri di storia, basta ricordare che la “primavera araba” è iniziata con la “rivoluzione dalla baguette” che ha incendiato le strade della Tunisia rabbiosa per l’aumento dei prezzi.

Così è passata quasi inosservata l’indagine dell’Osservatorio prezzi Codici sul costo del pane nelle principali città italiane e da cui emergono oscillazioni molto forti, dai 2 ai 5 euro al chilo. Il pane più salato, e non è una questione dietetica, lo mangiano i milanesi, che possono spendere anche cinque euro per un chilo di “ciabatte” o di “michette”. I baresi invece sono mangiapane a poco prezzo: un chilo di “Altamura” gli costa due euro.

A Milano – stando ai dati dell’Osservatorio – i prezzi del pane non sono certo economici. Per le ciabatte di grano la spesa è tra i 4 e 5 euro mentre per un chilo di rosette si spende dai 3,60 ai 4 euro. Un po’ meno costosi i panini all’olio d’oliva e quelli integrali: tra 2,50 e 3,50 euro circa al kg per i primi e dai 2 ai 3 euro per i secondi. Molto più caro è il pane di tipo locale, la michetta, il cui costo va da 1,50 ai 2 euro “l’uno”.

A Roma per un chilo di rosette si pagano circa 2,80 euro, mentre per il pane casereccio circa 3,50. Più costosi i panini all’olio che viaggiano sui 4,90 euro al kg mentre i panini integrali costano 3,20 euro al kg.

A Napoli il prezzo scende: quello di grano si aggira su 1,50 euro circa mentre per le rosette si paga da 2 ai 2,20 euro. I panini all’olio costano 0,20 cent l’uno, mentre quelli integrali circa 0,25 cent l’uno. Per il pane casereccio la spesa va da 1,40 fino a 1,80 euro al kg.

Ma la più economica è Bari: per un chilo di ciabatte di grano si spende circa 2,20, mentre per le rosette circa 2,10 euro.

Intervistato dal giornale Pietro Restelli, presidente dei panificatori milanesi, ha sintetizzato così le differenze di prezzo Nord-Sud: “Per forza, al Sud hanno poca varietà, vendono solo pezzature grandi che costano meno perché serve poca mano d’opera. In Lombardia, invece, abbiamo 50 tipi di pani diversi, molti di piccola dimensione che richiedono tempo e personale. Poi noi sosteniamo costi proibitivi”.

Insomma la conclusione che più che il pane a pesare sul costo è la panetteria. Un altro studio della facoltà di agraria dell’università di Bologna rivela infatti che il prezzo medio nazionale del pane è di 2,63 euro al chilo con una forte variabilità tra regioni: si va da 1,67 euro dell’Umbria a 3,87 euro del Veneto, la regione in assoluto più cara.

Differenze di prezzo forti ci sono state anche a distanza di pochi chilometri e questo ha innescato delle mini-rivolte: è successo in Calabria nella piana di Gioia Tauro, dove molti cittadini hanno contestato la differenza del prezzo imposto da alcuni commercianti di Polistena, Cinquefrondi e Melicucco a 2,50 euro mentre in altri comuni vicini come Gioia Tauro o Rosarno veniva venduto a 1,80 euro.

Ma uscendo dalle classifiche da campanile, il pane come altri beni di prima necessità è a rischio aumento “senza quartiere” per una serie di fattori. Il primo è la stangata per i beni che godevano dell’aliquota Iva ridotta. Secondo i calcoli di Fiscoequo infatti il taglio lineare delle agevolazioni fiscali del 5% nel 2013 e del 20% nel 2014, previsto dalla manovra economica di luglio, farà salire dell’80% in due anni l’Iva per pane, pasta, latte, zucchero.

Lo zucchero, componente base del lievito, rischia di produrre ulteriori aumenti sul pane per un altro motivo. L’allarme lo hanno lanciato gli industriali: il settore fronteggia il problema di reperire il melasso da zucchero alla base della produzione del lievito dopo che la riforma europea dell’Ocm zucchero dal 2006 ha ridotto drasticamente la produzione saccarifera italiana.

Uscendo dai confini capiamo meglio le implicazioni geopolitiche di un aumento eccessivo del prezzo del pane. Lo ha spiegato bene Gianluca Spina, direttore del Politecnico-Mip di Milano, analizzando le cause delle rivolte in Nordafrica, la cosiddetta primavera araba. Tutto è partito da una crisi petrolifera, ma nata dalle distorsioni di un altro mercato: “Le difficoltà attuali sono figlie della crisi delle commodities alimentari, che ha portato all’aumento del prezzo dei generi di prima necessità. Non a caso la rivolta tunisina è stata ribattezzata “la rivoluzione della baguette””. Un meccanismo, prosegue Spina, innescato da diversi fattori: “L’Asia sta uscendo dalla povertà e dal sottosviluppo più rapidamente del previsto. Ma a fronte di ciò, la produzione mondiale di cibo non è cresciuta più di tanto. Non è aumentata l’estensione delle terre coltivate, gli investimenti in tecnologie agroalimentari sono rimasti limitati e mancano politiche globali coordinate che investano l’intera filiera, attraverso l’industria e la distribuzione”. Errori. Cause scatenanti alle quali si sommano responsabilità politico-finanziarie: “La strategia della banca centrale americana, che ha inondato i mercati di liquidità, è stata sicuramente negativa perché parte di queste risorse ha preso la via della speculazione sulle commodities”.