Il parmigiano soffre: “un modello superato”. I caseifici chiudono e si guarda alla Cina

Le vendite hanno retto alla crisi, ma il futuro del Parmigiano sembra davvero incerto. I piccoli caseifici continuano a chiudere e c’è la sensazione di essere arrivati al capolinea, “alla fine di un modello produttivo basato su una realtà che nel frattempo è profondamente mutata” spiega al Corriere della Sera Filippo Arfini, professore all’università di Parma e studioso del settore agro-alimentare.

Il modello è superato e si guarda ormai in direzione della Cina. La qualità, insomma, sembra non aiutare a far quadrare i conti, nemmeno se si tratta del prezioso formaggio.Tra Reggio e Parma agricoltori, casari e stagionatori si passano da generazioni le regole per produrlo, nella massima attenzione agli standard di qualità.

Eppure ora le cose cambiano e i piccoli caseifici stanno chiudendo: in 15 anni sono passati da 600 a 400 e secondo le previsioni almeno altri 70 sarebbero vicini alla chiusura solo nella provincia di Parma. Si tratta di caseifici mono-prodotto che devono affrontare una produzione difficile e lunga, con una stagionatura di 24 mesi e tutte le spese connesse. Molti ormai non seguono la procedura fino alla fine e decidono di venere a metà percorso a grossisti-stagionatori che a loro volta spesso sono produttori anche di Grana Padano, il diretto “avversario” di sempre. C’è chi ne fa una questione di orgoglio e di fede alla religione del parmigiano, ma ormai secondo molti bisogna accantonare tradizione e rivalità e badare alla sopravvivenza delle singole aziende e a una nuova organizzazione produttiva.

Intanto, il Grana Padano guadagna posizioni, merito anche del risparmio e i dati lo vedono vincitore: il Grana, infatti, che alla produzione costa all’incirca 3 euro in meno al kilo, occupa il 57,7% del mercato dei formaggi duri lasciando il Parmigiano a quota 31,4% . I caseifici del Grana, in verità, hanno il vantaggio di non essere mono-prodotto, producono provolone se operano in Lombardia e Asiago se lavorano in Veneto e il mix permette loro di mettersi al riparo dalle fluttuazioni dei prezzi e compensarle tra un prodotto e l’altro.

Tante, quindi le tecniche messe in atto per reagire al crudele mercato. Il Consorzio ha alzato l’asticella della qualità dando la possibilità ai produttori di riconoscere un prodotto ancor più stagionato, da 24 a 30 mesi, segnalato con un bollino colorato. Ma la qualità non basta. Ha avuto successo, ad esempio, la vendita del Parmigiano grattugiato (e non intero) nei supermercati, inizialmente considerato un oltraggio dai puristi. Si è arrivati poi a un accordo con Mc Donald’s per mettere Parmigiano nell’insalata, e altri accordi sono previsti con singoli produttori per produrre tortelli o creme al Parmigiano Reggiano. L’arma vincente sarebbe su tutte la pubblicità comparativa, uno spot in cui poter dimostrare le differenze con il Grana, ma la comparativa tra prodotti Dop è vietata.

Si guarda alla Cina. Altra opzione è continuare a sfruttare le esportazioni. Nei primi mesi del 2010, infatti, le vendite negli Usa sono in crescita e già il 27% dei ricavi del Parmigiano provengono dall’estero.  “Stiamo valutando un progetto Cina, uno studio sulle potenzialità del mercato e le caratteristiche del consumatore cinese, uno studio da mettere a disposizione degli esportatori”, anticipa Paolo Bandini, presidente della sezione di Parma del Consorzio.

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