La patata italiana è minacciata da un problema serio. La crisi potrebbe coinvolgere una produzione annuale è di 5,5 milioni di tonnellate.
L’Italia è uno dei principali produttori di patate in Europa. Al di là degli sterili doppi sensi, la patata italiana riscuote ancora un po’ di successo e il Paese sa di doverne avere cura. Abbiamo a che fare non solo come uno dei principali prodotti agricoli ma anche con un alimento richiestissimo sulle tavole dei consumatori nazionali e internazionali. Al di là della sua importanza relativa alla diffusione nell’alimentazione quotidiana di molti italiani, la patata va intesa pure come un prodotto che contribuisce fortemente ai numeri dell’economia agricola nazionale.
La patata italiana è apprezzata per la sua qualità. E molte coltivazioni godono della certificazione DOP o IGP. La patata di Bologna, con certificazione DOP, coltivata in tutta l’Emilia-Romagna, è un prodotto di qualità che l’Italia riesce anche a esportare. La Rotonda, prodotta come IGP in Basilicata, è invece apprezzata soprattutto a livello nazionale. La Galatina, sempre una IGP, viene prodotta in Puglia ed è usata anche dall’industria alimentare per surgelati (il settore ha avuto un incredibile boom nell’ultimo anno).
E ora c’è un grave problema chiamato Ralstonia solanacearum. Si tratta di un batterio, un patogeno che causa il marciume bruno nelle piante di patata. E anche in quelle di pomodoro. Tale organismo assai nocivo ha già infettato tantissime coltivazioni. Dapprima in Veneto, poi in Emilia-Romagna e in Toscana e ora anche in Sardegna. Casi di infezioni si sono registrati anche in Piemonte, Lombardia, Campania e Puglia.
Il batterio del marciume infetta la patata italiana
Le infezioni sono spesso legate all’importazione di semi di patata da Paesi tropicali e subtropicali. In determinati climi, il batterio può vivere nel suolo e nei residui colturali per lunghi periodi, aumentando il rischio di trasmissione attraverso i semi. E allorquando questi semi vengono importati in Italia, c’è il rischio di diffusione di infezione. Ma anni, tuttavia, le aziende comperano semi dall’Egitto, per poter risparmia. E così facendo espongono le patate a un’infezione per cui non esistono efficaci mezzi di difesa chimici e biologici. L’effetto dell’infezione è detto avvizzimento batterico e rappresenta una grave avversità. A quanto pare le colture biologiche, anche per l’uso di sementi autoctoni, non stanno affrontando gli stessi pericoli sperimentati dell’agricoltura industriale.
L’avvizzimento compare sulle foglie nel giro di poche ore, e le piante non riescono a riprendersi: muoiono. Quando si schiaccia il tubero, è possibile notare la fuoriuscita di pus o di materiale organico scuro. L’unica strategia di resistenza è la rotazione delle colture. Può essere d’aiuto anche intervenire sul pH del terreno per mantenerlo basso in estate (4-5) e più alto in autunno (6).
Le autorità fitosanitarie hanno dunque cominciato a monitorare attentamente le importazioni di semi e, al contempo, hanno implementato le misure di quarantena per prevenire la diffusione di tali organismi nocivi. Dapprima si è mossa la Regione Emilia-Romagna con misure di monitoraggio costante, sanificazione degli impianti e, sopratutto, con programmi di ritorno all’adozione di rotazioni colturali. Inoltre la Regione ha anche disposto la concessione di indennizzi agli agricoltori danneggiati.
Per evitare la diffusione del batterio bisogna anche provvedere alla disinfezione degli strumenti agricoli e all’accurata gestione dei residui colturali. Ma la minaccia per le colture italiane è seria. Negli scorsi giorni, per esempio, è stata confermata anche in Sardegna la presenza del Ralstonia solanacearum su patata, e di conseguenza la Regione ha istituito tre nuove aree delimitate cercando di porre in quarantena le zone colpite.