Sigaretta e caffè, un binomio diffuso e dannoso, che potrebbe essere scisso dal datore di lavoro non disposto a concedere una pausa lunga.
In certe situazioni, il fumatore proprio non riesce a fare a meno di tirare fuori il pacchetto e accendersi una sigaretta. Dopo il caffè, per esempio, quasi tutti i tabagisti si sentono obbligati a fumare una sigaretta. Non esistono ovviamente prove scientifiche che giustifichino l’emergere di questa particolare esigenza. Di base, si tratta di un comportamento legato a un rituale sociale consolidato. Bere un caffè viene interpretato come un momento di relax o di pausa, cui si associa appunto il desiderio di fumare.
Si tratta dunque di un’abitudine associativa, del tipo stimolo-riflesso. Il caffè agisce come stimolo e il gesto del fumare diventa un riflesso automatico indotto a livello chimico dalla modulazione dei recettori della nicotina nel cervello. E uno dei rituali sociali più comuni in cui il caffè si associa alla sigaretta è da decenni la pausa al lavoro.
Dopo la legge Sirchia del 2003, che ha vietato il fumo in tutti gli ambienti chiusi, è diventato però assai più difficile per i tabagisti poter associare caffè e fumo nell’ambiente di lavoro. Per poter fumare, il dipendente è il più delle volte costretto a uscire. E ciò, inevitabilmente, allunga l’intervallo della pausa. Ecco perché molti datori di lavoro impongono ai loro dipendenti un ulteriore divieto, chiedendo loro di evitare di fumare anche durante la pausa caffè. Ma è una pretesa giustificabile o un’angheria?
Dal punto di vista giuridico, il datore di lavoro non può in nessun caso vietare che il lavoratore si conceda una pausa. La normativa vigente, ossia l’art. 8 del d.lgs. n. 66/2003, tutela il momento della “pausa” come un bisogno di cui il datore di lavoro deve garantire il rispetto, per dar modo al dipendente di recuperare le energie fisiche e mentali, per consumare il pasto. O anche per l’attenuazione di mansioni monotone e ripetitive.
Quando il datore di lavoro può impedire la pausa caffè con sigaretta
La disciplina prevede anche un intervallo più o meno definito per la pausa. Dipende ovviamente dalle ore e dal tipo di lavoro, ma in generale, in ogni tipo di attività lavorativa, il datore di lavoro non può concedere meno di 10 minuti di pausa per orari continuati pari o superiori alle sei ore. E questa pausa, secondo quanto detta una nota diramata dal Ministero del Lavoro nel 2005 (la circolare 8/2005), può essere utilizzata dal lavoratore nel modo che più preferisce.
Secondo la normativa, dunque, il dipendente può usufruire dei suoi 10 minuti di intervallo per prendere un caffè, per andare in bagno, per fare una passeggiata, per consumare uno spuntino oppure per fumare una sigaretta. E il datore di lavoro non può dunque pretendere che il lavoratore scelga una sola di queste attività a discapito delle altre. L’importante è che il dipendente rispetti i limiti temporali, dopodiché, in quel tempo concesso, può fare quello che gli pare!
I divieti imposti non devono essere interpretati come coercizioni o insopportabili limiti all’altrui libertà. Si vieta di fumare per salvaguardare la salute del tabagista e delle persone che frequentano un determinato ambiente. La legge vieta di fumare al chiuso anche per proteggere la salute dei non fumatori. Il fumo passivo, così come provato da più studi, può causare gravi problemi di salute: da malattie respiratorie a malanni cardiovascolari, fino al cancro.
Va da sé che, per fumare, il dipendente dovrà uscire dall’edificio o raggiungere un balcone. Se il regolamento aziendale prevede specifiche aree per fumatori, è necessario che il lavoratore rispetti questa prescrizione, altrimenti potrebbe incorrere in provvedimenti disciplinari. Ci sono poi alcuni luoghi (come ospedali, scuole e università) dove il fumo, almeno in teoria, dovrebbe essere vietato anche all’aperto, a meno che non siano presenti aree apposite. In quei casi, ci si dovrà allontanare.