ROMA – Con l’entrata in vigore della riforma Fornero, l’Inps non conteggia più nel calcolo pensionistico le giornate in cui i lavoratori si sono assentati perché impegnati a donare il sangue. Giorni “persi”, secondo l’Inps, soldi in ostaggio per i donatori/lavoratori che ora per accedere alla pensione o dovranno recuperare mesi a fine carriera, oppure dovranno accettare una penalizzazione economica.
Il problema riguarda chi va in “pensione anticipata” (ex pensione di anzianità) prima dei 62 anni, grazie agli anni di contribuzione richiesti, tra i quali non rientrano più i giorni di permesso.
Ma, tralasciando il fatto che donare il sangue fa bene e fa star bene e penalizzando i donatori dal punto di vista pensionistico, non si riconosce il valore morale e solidale della donazione” e “si scoraggia, per l’immediato futuro, la chiamata. Così si mettono seriamente a rischio anche la sostenibilità del sistema trasfusionale e gli obiettivi dell’autosufficienza nazionale di sangue e di emocomponenti.
“Se si fa un rapido calcolo – scrive Giorgia Wizemann sul sito di Radio24 -, per un iscritto che dona il sangue da quando ha 18 anni e lo fa a pieno regime (cioè quattro volte l’anno), in quarant’anni di vita lavorativa dovrà recuperare 160 giornate di astensione dal lavoro, che si traducono il 7-9 mesi in più di servizio. L’alternativa è smettere di lavorare nella data prevista, ma con una decurtazione del 2% della pensione”. Che ancora, facendo un rapido calcolo: “Con una aspettativa di vita di 25 anni, considerando un assegno mensile di 1300-1400 euro, si parla di alcune migliaia, se non decine di migliaia, di pensione in meno”.
E non sono solo i donatori di sangue a restare impantanati in una palude normativa inestricabile. A parte gli obblighi di leva, la malattia, gli infortuni o la cassa integrazione, tutte le altre assenze da lavoro non vengono conteggiate.
La riforma Fornero colpisce ora chi in questi decenni s’è assentato dal lavoro per donare il sangue, ma anche i lavoratori in mobilità, chi ha versato contributi volontari, coloro che contano periodi di disoccupazione, pur coperti da indennità e contributi figurativi, le mamme che hanno goduto dell’astensione facoltativa e altri soggetti deboli, questo perché le giornate di assenza dal lavoro sono ora considerate come “non lavorate”.
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