Pensione più tardi, più tardi di quanto non si vada oggi in pensione. La Francia, dove esistono regimi pensionistici particolarmente dolci verso categorie professionali soprattutto del pubblico impiego, ci prova. Ci prova con una riforma del sistema appena presentata dal governo. Riforma che dice: passo passo, pian piano, di aumento dell’età pensionabile fatto di gradini di tre mesi ciascuno, dal 2023 al 2030 una scala che porti a 64 anni l’età della pensione.
Una scala lunga sette anni
Dunque tutt’altro che uno “scalone”, qualcosa per cui all’improvviso, bruscamente e drasticamente chi prima attendeva di andare in pensione a 61 anni nel 2023 si trovi a doverci andare tre anni dopo, a 64 di anni. Aumenti progressivi, scalini appunto, dell’età pensionabile, scalini alti tre mesi. Il nostro ipotetico pensionando francese che attendeva la pensione a 61 anni nel 2023, nello stesso 2023 ci va in pensione a 61 e tre mesi. Poi nel 2024 a 61 anni e sei mesi. Poi…Fino a 64 anni per andare in pensione, 64 anni per così dire pieni come età pensionabile tra sette anni, nel 2030. Doucement, molto doucement…
Dolcemente, ma non pare
Dolcemente, molto dolcemente: sette anni per abituarsi alla pensione a 64 anni. Ma alla maggioranza dei francesi dolcemente non pare o molto più probabilmente nulla interessa di dolcezza o ruvidità. Secondo sondaggi (e soprattutto precedenti esperienze politico sociali) il 68 per cento dei francesi non vuole, fermamente, cocciutamente non vuole l’età pensionabile sia aumentata anche di un solo giorno. I sindacati, la sinistra, la destra promettono “la madre di tutte le battaglie” contro la “madre di tutte le riforme”, quella appunto delle pensioni. Riforma che metterà buona parte del paese contro il presidente Macron ma che Macron non può non fare o almeno tentare di fare. Per una semplice, ineluttabile, macroscopico eppur negata questione non solo di cassa ma anche se non soprattutto di sostenibili equilibri sociali prima ancora che finanziari.
Il chi paga regolarmente eluso
Nessun comandamento divino o umana disposizione vieta ad una comunità di far accedere alla pensione i suoi sessantenni, a 60 appena compiuti o magari anche prima. E’ una possibile scelta. Possibile però ad una sola condizione: che il costo di questo welfare, pensione percepita mediamente per 20 e più anni, sia consapevole, noto e pagato. Il chi paga però viene regolarmente eluso, in Francia come in Italia, se non di più. Pensione a 60 anni? Il costo si paga aumentando i contributi previdenziali pagati da imprese e lavoratori? Non sia mai e si fa anzi il contrario: si esenta sempre più dal pieno pagamenti dei contributi esistenti. In Francia come in Italia la inderogabile richiesta è: pensioni dall’importo più alto pagando meno contributi. Allora pagarle le pensioni più alte con meno contributi aumentando le tasse e destinando alle pensioni l’aumento delle tasse? Non sia mai, improponibile, anzi oscenamente blasfemo. Destinare allora alle pensioni altri comparti di spesa pubblica? Impensabile, si vuol forse togliere risorse alla sanità, alla scuola, ai “territori”? Nella percezione e ormai nella cultura di quel 68 per cento di francesi (e probabilmente di altrettanti italiani) c’è la pensione come diritto. E fin qui non ci piove. Ma come diritto eterno, naturale e gratuito ci piove eccome, anzi ci diluvia esondando dal campo dei diritti a quello delle pretese.
Se 64 anni sembran…
Pochi o tanto 64 anni di età per andare in pensione? A ciascuno la sua sentenza. In Italia, in Italia davvero a che età si va in pensione? La legge cambia spesso e soprattutto è intessuta e sforata al tempo stesso di eccezioni. Eccezioni per categoria, genere, comparto industriale. La realtà vede l’età media effettiva in cui si va in pensione in Italia fissata, anzi osservata, a 63,5 anni di età. In un paese, o nazione che dir si voglia, che dal 2011 (da 12 anni!) lamenta la sofferenza mai in realtà patita della pensione per legge non prima dei 67 anni di età. Se erano 67, ci siamo fatti lo sconto di tre anni e mezzo.