
ROMA – Su una pensione lorda di 20mila euro lordi, con una penalizzazione del 4% annuo, 12 mesi di uscita anticipata ridurrebbero l’assegno di pensione di 800 euro lordi, al netto delle tasse nazionali e locali 548 euro, vale a dire 42 euro al mese.
E, tuttavia, da un punto di vista attuariale complessivo e di più largo orizzonte, un anno di anticipo sugli assegni più bassi costerebbe oltre 25mila euro pro-capite e ci vorrebbero 46 anni per pareggiare i conti (senza contare il minore gettito fiscale). Considerando che l’effetto risparmio dell’insieme delle riforme pensionistiche tra il 2004 e il 2050 vale 980 miliardi ai valori attuali.
Non gravare troppo sul bilancio dello Stato, meglio per nulla magari con un ritocco della riforma Fornero a costo zero; consentire l’uscita anticipata dal lavoro senza alleggerire troppo l’assegno previdenziale rendendo l’opzione di fatto impraticabile. Tra queste due esigenze contrastanti lo spazio di mediazione delle tante proposte, ipotesi, calcoli per definire la cosiddetta flessibilità in uscita da autorizzare già nella prossima legge di stabilità (la finanziaria).
L’ultima ipotesi che metterebbe d’accordo Padoan (Economia) e Renzi considera anticipi limitati (massimo 3 anni prima del limite oggi fissato a 66 anni e 7 mesi dal 2016) con tagli compresi tra il 3 e 4% annuo almeno e, magari, subordinati ad accordi preventivi azienda-lavoratore o circoscritti ai soli disoccupati senior o alle lavoratrici estendendo l’opzione donna con taglio dell’ultimo scalino pre-pensione.
Ma quale sarebbero gli effetti reali sugli assegni delle ipotesi di penalizzazioni e quali quelli sui conti pubblici? Affidandoci a Gianni Trovati e alle tabelle del Sole 24 ore guardiamo qualche simulazione, considerando anche che a un assegno più leggero corrisponde sì minor reddito ma anche imponibile fiscale più basso.
Con una penalità del 4% all’anno, un’uscita anticipata di 12 mesi porterebbe a una sforbiciata di 800 euro lordi: al netto delle tasse nazionali, regionali e comunali, però, il sacrificio si fermerebbe a 548 euro, cioè poco più di 42 euro per 13 mensilità. In questo quadro, la pensione netta passerebbe dai 1.272 euro netti dell’assegno in formula piena a 1.230 euro, con un taglio reale del 3,3 per cento.
Le soluzioni applicative su cui stanno lavorando in questi giorni i tecnici del Governo ipotizzano anche anticipi superiori, accompagnati da una progressione dei tagli. Ampliando lo stesso meccanismo descritto finora a un anticipo di quattro anni rispetto al calendario previsto dalle regole attuali, il taglio lordo sarebbe dunque del 16 per cento. Sulla pensione da 20mila euro significa 3.200 euro, che però scendono a 2.192 dopo aver calcolato le ricadute fiscali: si tratterebbe comunque di poco meno di 169 euro al mese (cioè il 13,2% delle somme che si riceverebbero aspettando di raggiungere i requisiti ordinari), una cifra non certo indifferente a questi livelli di reddito. (Gianni Trovati, Il Sole 24 Ore).