Alcuni cittadini potranno avere ben 3.000 euro di arretrati per ciò che concerne le pensioni. Ecco chi ne ha diritto
Il tema delle pensioni torna al centro del dibattito pubblico con l’approssimarsi del nuovo anno. A gennaio 2025, le pensioni subiranno un aumento, legato principalmente all’adeguamento per l’inflazione, come stabilito dai provvedimenti di fine anno. Tuttavia, una questione di grande rilevanza giuridica resta irrisolta: la possibile incostituzionalità di alcune norme relative agli aumenti pensionistici degli anni passati, che potrebbe portare a rimborsi significativi per molti pensionati.
A partire da gennaio 2025, le pensioni saranno rivalutate dello 0,8%, in linea con il tasso di inflazione registrato nei primi tre trimestri del 2024. Il nuovo sistema di calcolo prevede incrementi differenziati in base agli scaglioni di reddito:
- Rivalutazione al 100% (0,8% di aumento) per pensioni fino a quattro volte il minimo, pari a circa 2.270 euro mensili;
- Rivalutazione al 90% (0,72% di aumento) per la parte di pensione compresa tra quattro e cinque volte il minimo (da 2.270 a 2.840 euro);
- Rivalutazione al 75% (0,6% di aumento) per la parte eccedente cinque volte il minimo (sopra i 2.840 euro).
Il sistema del 2024 sotto esame
L’aumento delle pensioni nel 2024 fu significativamente più elevato, pari al 5,4%, riflettendo un’inflazione più alta. Tuttavia, il sistema adottato lo scorso anno è stato oggetto di critiche e dubbi sulla sua legittimità. La rivalutazione variava sensibilmente a seconda della fascia di reddito, con percentuali decrescenti per le pensioni più alte e un’applicazione progressiva delle aliquote solo sulle eccedenze rispetto agli scaglioni inferiori.
Ad esempio, per una pensione di 5.700 euro mensili, il sistema avrebbe dovuto garantire un aumento mensile di 307,80 euro con un’adeguata rivalutazione. Tuttavia, l’importo reale è stato di appena 67,72 euro al mese, con una perdita stimata tra 198 e 240 euro mensili.
La questione dell’incostituzionalità delle rivalutazioni è stata sollevata da diversi pensionati e sarà esaminata dalla Corte Costituzionale nel gennaio 2025. Un pronunciamento favorevole ai ricorrenti potrebbe obbligare lo Stato a rimborsare le somme non percepite nel 2024.
Secondo le prime stime, per chi ha subito tagli consistenti, gli arretrati potrebbero superare i 3.000 euro, con importi che aumentano in proporzione al livello della pensione. La sentenza della Consulta rappresenta quindi un potenziale punto di svolta per milioni di pensionati, i quali potrebbero vedere riconosciuti i propri diritti retroattivamente.
Mentre il governo cerca di garantire la sostenibilità del sistema previdenziale, la questione sollevata pone interrogativi fondamentali sulla tutela dei diritti acquisiti e sull’equità delle norme applicate. La sentenza della Corte Costituzionale potrebbe avere ripercussioni significative non solo per i pensionati, ma anche per le casse dello Stato.