ROMA – La legge di Stabilità ha aumentato fino a 64 anni e 9 mesi l’età minima che le donne devono avere per ottenere la pensione di vecchiaia.
Donne sempre più simili agli uomini: “godono” della “pari opportunità” di lavorare più anni per riuscire a guadagnarsi una pensione. Ma quasi sempre le loro retribuzioni sono più basse di quelle dei colleghi maschi.
Domenico Comegna sul Corriere ricostruisce la lenta avanzata che, dal 1993, ha portato l’età minima per le donne da 55 a quasi 65 anni.
“L’innalzamento del limite di età è iniziato nel 1993 con la riforma Amato che ha portato la soglia anagrafica, sebbene gradualmente, da 55 a 60 anni. A partire dal 2012 è cambiato tutto. La legge Monti-Fornero ha infatti dato un deciso colpo di acceleratore alla equiparazione con gli uomini, già peraltro decisa dal precedente governo Berlusconi, che nell’estate 2011 aveva previsto un percorso che doveva iniziare nel 2014 per raggiungere il traguardo nel 2026. Ma non è stato così. Dal primo gennaio 2012, infatti, l’età delle donne è salita di colpo a 62 anni — soglia alla quale già nel 2013 sono stati aggiunti 3 mesi (per via dell’adeguamento alle cosiddette speranze di vita) — e sarà ulteriormente elevata a 63 anni e 9 mesi nel 2014. Per le lavoratrici autonome (commercianti, artigiane e coltivatrici dirette), invece, lo scalone del 2012 è stato di 3 anni e 6 mesi (l’età è passata da 60 a 63 anni e mezzo). Limite che salirà a 64 e 9 mesi nel 2014”.
Alle donne è stata data una scelta: potranno andare, fino al 2015, in pensione con le vecchie soglie minime, ovvero almeno 57 anni (58 per le lavoratrici autonome) di età e 35 di contributi. Ma dovranno accettare un trattamento interamente calcolato con il sistema contributivo. Cioè accettare di prendere una pensione molto più bassa, del 25-30% in meno.
E chi vuole “anticipare la vecchiaia”, andare in pensione prima dell’età minima? Dovrà accumulare 42 e 6 mesi di contributi (gli uomini) o 41 anni e 6 mesi (le donne).