Aumento delle pensioni: gli italiani possono intraprendere due principali vie per poter contare su un assegno pensionistico più corposo.
Ospite a le 4 di Sera, talk politico su Rete 4, la premier Giorgia Meloni è tornata a parlare di un aumento delle pensioni minime. Per quasi tutti i partiti dell’attuale esecutivo, l’innalzamento delle pensioni minime fino alla soglia dei 1.000 è stato un cavallo di battaglia durante la campagna elettorale. Ma in questi primi anni di Governo le pensioni minime sono salite di molto poco. Del 2,7% per l’esattezza.
Per ora, la soglia è ferma a 598,61 euro al mese. E bisogna ricordare che il grosso dell’incremento non è dipeso da una misura ad hoc del Governo ma dalla rivalutazione basata sull’indice dei prezzi al consumo definito dall’ISTAT, così come imposto dalla legge. Nel corso della sua intervista televisiva ha spiegato di non aver potuto attuare la promessa dell’aumento delle pensioni perché lo Stato aveva poche risorse a disposizione.
“Quelle poche risorse“, ha sottolineato la Premier, “le abbiamo concentrate su poche cose veramente importanti. Basta con i bonus a pioggia, basta con i soldi gettati dalla finestra… Per noi era importante aiutare le imprese che assumevano, aiutare le imprese che assumono, aiutare i salari dei lavoratori, i redditi delle famiglie, la salute dei cittadini“. Dopodiché ha ribadito che quella delle pensioni minime è una priorità del Governo.
“In questi due anni noi abbiamo lavorato per una rivalutazione piena di tutte le pensioni che arrivavano fino a 2.270 euro”. Secondo la Premier, l’esecutivo ha garantito che le pensioni fossero adeguate pienamente al costo della vita. Ma è davvero così?
La Meloni ha poi parlato della rivalutazione al 120% per le pensioni minime. “Con questa rivalutazione, le pensioni minime sono cresciute in modo significativo. L’abbiamo fatto facendo crescere di meno le pensioni che erano molto alte“, ha insistito la premier. E detta così, sembra che i trattamenti minimi siano più che raddoppiati. Ovviamente non è vero. L’aumento straordinario è stato applicato per garantire che le pensioni minime crescessero sì in modo significativo rispetto all’inflazione, ma non ha portato a un incremento del 120% dell’importo totale della pensione.
La politica, data la crisi oggettiva del sistema previdenziale italiano, non potrebbe mai realizzare un vero e significativo aumento delle pensioni. Mancano le coperture. Concretamente, quindi, i lavoratori che puntano a ottenere un parziale o più importante aumento sulle possibili pensioni devono guardare ad altri orizzonti. Due sono le strade fondamentali: il fondo pensione e i PAC.
Meglio un piano di accumulo o un fondo pensione? Questo si domandano tanti lavoratori. E, come spesso accade, la convenienza dipende dalle esigenze particolari del soggetto che sta pensando a come arrivare a un aumento della pensione. La scelta tra PAC e un fondo pensione dipende quindi dalla contingenza e dagli obiettivi a lungo termine che si vogliono raggiungere.
Il PAC permette maggiore flessibilità e accessibilità e si rivela la scelta migliore per chi ha intenzione di accumulare risparmi per una data abbastanza lontana. I piani di accumulo permettono anche di iniziare con piccole somme e aumentare gradualmente il capitale investito. E sono forme di investimento adatte anche a chi non ha un reddito fisso. L’altro vantaggio è che, con un PAC, si ritirare il capitale in qualsiasi momento, senza penalità.
I fondi pensioni comportano vari vantaggi fiscali: i contributi sono infatti fino a un certo limite deducibili e possono comunque dare accesso a forme di prepensionamento contemplate dall’INPS (nel caso dei disoccupati con la RITA, per esempio). Bisogna tuttavia prendere in considerazione dei vincoli più ferrei. Il capitale è bloccato fino al raggiungimento dell’età pensionabile (salvo alcune eccezioni).
Di solito, comunque, quando si tratta di voler arrivare a un aumento delle pensioni, ci si rivolge preferibilmente ai fondi. Anche a livello fiscale convengono. Con i PAC bisogna affrontare una tassazione ordinaria al 26% sulle plusvalenze. Con i fondi si ha una deducibilità fiscale dei contributi versati fino a un massimo di 5.165 euro all’anno. E c’è anche la tassazione agevolata sulla rendita del 20%.
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