ROMA – Pensioni. l’Istat, con una iniziativa di netta marca politica, usando i numeri come randelli e in modo apertamente strumentale, come ha fatto negli ultimi anni a guida Enrico Giovannini, prima che Pierluigi Bersani lo promuovesse ministro del Lavoro, senza nemmeno il passaggio elettorale, ha diffuso domenica una nota destinata a infuocare ulteriormente il dibattito sulle pensioni e a alimentare ancor più l’odio sociale.
Dire che il 5% delle pensioni, quelle sopra 3 mila €, costa allo Stato come il 44% delle pensioni, che sono quelle fino a mille euro, è un soccorso al Governo Letta – Alfano, ma anche falsa interamente i termini del dibattito perché
1. non tiene conto e non rende conto dei contributi versati dai pensionati delle varie fasce nel corso della loro vita di lavoro;
2. mette assieme pensioni costruite con 40 anni di contributi e pensioni percepite a vario titolo ma spesso senza vere mai versato un centesimo.
3. in una chiara spinta allo Stato corporativo fascista, vuole mettere in capo ai pensionati che hanno pagato di più e quindi percepiscono di più l’onere che invece compete allo Stato nel suo complesso e alla fiscalità generale.
Come riporta l’agenzi Ansa, nel 2011 il 5,2% dei pensionati è nella fascia più ‘ricca’, sopra i 3 mila euro di reddito da pensione al mese. Si tratta di 861 mila persone, che assorbono 45 miliardi di euro l’anno, il 17% della spesa totale, poco meno di quanto sborsato (51 miliardi, 19,2%) per i 7,3 milioni, il 44% dei pensionati, sotto i mille euro. Tra mille e duemila euro i pensionati sono 6.332.955 (il 38% del totale), tra duemila e tremila euro sono 2.126.753 (il 12,8%). E’ quanto emerge dai dati Istat forniti dall’Inps domenica 11 novembre, non aggiornatissimi e giusto in tempo, pare di capire, per condizionare il dibattito in corso sugli adeguamenti all’inflazione delle pensioni più basse, magari finanziato con l’allargamento della platea dei pensionati cui imporre il contributo di solidarietà. E’ la direzione, lo scambio che Pd e Pdl stanno mettendo a punto in vista della battaglia in Parlamento per aggiustare la Legge di Stabilità.
“L’indicizzazione va portata fino al completamento” benedice il presidente del Consiglio Enrico Letta (a Domenica In), ma per gradi: l’ultimo compromesso dice rivalutazione del 100% fino a 1.500 euro, del 90% fino a 2 mila, del 75% fino a 2.500 e del 50% fino a 3 mila. Zero rivalutazione oltre le colonne d’Ercole dei 3 mila euro: in cambio (e per reperire le risorse necessarie) il contributo di solidarietà scatterebbe prima e cioè non più a 150 mila euro lordi annui ma intorno a 100 mila. Ma se, a proposito di numeri usati come grimaldello improprio, non è sano dividere i pensionati in liste di buoni e cattivi, vale la pena ricordare che sopra 90 mila euro gli assegni di pensione in Italia sono solo 35 mila, un numero che stempera abbastanza il proclama renziano che vuole colpire i ricchi da 7 mila euro al mese. Se ne è accorto anche Letta che infatti, sempre nel salotto popolare di Domenica In, deve riconoscere che “intervenire sulle pensioni d’oro è un fatto utile che va fatto, ma simbolico che porterà poco in cassa”.
Altra considerazione utile, osservando la fotografia Inps sulle pensioni, sta nella circostanza per cui pensionati e pensioni non coincidono: una persona può ricevere più assegni, tra vecchiaia, invalidità, indennità, tanto che che quasi un quarto dei pensionati è destinatario di un doppio assegno.
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