Le pensioni minime subiranno un incremento nel 2025, con un aumento del 2,7% rispetto all’importo minimo attuale (598,61 euro) prima della maggiorazione. Questo incremento terrà conto anche dell’1% dell’inflazione stimata per il 2024, portando l’importo delle pensioni minime a 620,92 euro, rispetto ai 614,77 euro del 2024. Fonti vicine alla manovra confermano che l’aumento previsto per il 2024 sarà prorogato anche per il 2025, evitando così una riduzione effettiva del potere d’acquisto degli assegni pensionistici. Si tratta di un aumento pari a 3 euro nel 2024 e ad altri 3 euro nel 2025. La rivalutazione del governo ha evitato il taglio assegno di circa 10 euro al mese: tuttavia si tratta di un aumento davvero minimo che stato subito contestato dalle associazioni dei Consumatori.
L’aumento delle pensioni minime è solo una delle misure previste nella Legge di Bilancio 2025, che sarà presto presentata al Quirinale prima di iniziare il suo percorso parlamentare alla Camera. Queste modifiche, in particolare, mirano a sostenere oltre 1,8 milioni di pensionati.
Pensioni minime: come cambieranno gli importi
L’intervento sulle pensioni minime riguarda più di 1,8 milioni di pensioni, confermando l’aumento del 2,7% introdotto nel 2024. Questo adeguamento eviterà che il valore reale delle pensioni diminuisca a causa dell’inflazione. Il trattamento minimo passerà da 598,61 euro a 604,60 euro, tenendo conto dell’1% di inflazione. Su questa base verrà applicato il 2,7%, portando l’importo finale a 620,92 euro. Questo aumento rappresenta un doppio beneficio per i pensionati, poiché combina il mantenimento del potere d’acquisto con il recupero dell’inflazione.
Conferma delle misure Ape Sociale, Opzione Donna e Quota 103
Oltre agli aumenti delle pensioni minime, la Legge di Bilancio 2025 confermerà le regole per Ape Sociale, Opzione Donna e Quota 103. Queste misure, introdotte per facilitare l’accesso alla pensione, rimarranno invariate anche per il prossimo anno. Tuttavia, per Quota 103, le richieste sono diminuite a causa delle regole più restrittive, come il calcolo interamente contributivo dell’assegno e l’applicazione del limite di quattro volte il trattamento minimo.
Utilizzo dei fondi integrativi per il pensionamento
Un’altra novità della manovra riguarda la possibilità di utilizzare i fondi integrativi alimentati con il TFR per consentire a chi non ha raggiunto l’importo dell’assegno sociale di andare in pensione a 67 anni. Questa misura è destinata principalmente a chi ha iniziato a versare i contributi dal 1996 ed è quindi soggetto al calcolo contributivo. Tuttavia, si prevede che l’impatto di questa misura sarà limitato, poiché chi ha redditi più bassi tende a iscriversi meno alla previdenza integrativa.
Al contrario, la possibilità di utilizzare il TFR per anticipare la pensione a 64 anni sembra essere stata accantonata a causa dell’opposizione della Ragioneria dello Stato. Inoltre, saranno introdotti incentivi fiscali per chi, pur avendo maturato i requisiti per la pensione anticipata con Quota 103, deciderà di continuare a lavorare, ricevendo in busta paga la quota di contributi a carico del dipendente (9,19%).
Novità fiscali: benefit e taglio del cuneo fiscale
Un’altra importante novità della manovra sarà l’introduzione di un benefit fiscale fino a 5.000 euro per i lavoratori trasferiti. Questo importo sarà destinato a coprire le spese abitative sostenute dal lavoratore o dall’azienda, e sarà esente da tassazione. La misura è stata annunciata dal Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, durante un evento a Genova.
In aggiunta, il taglio del cuneo fiscale previsto dalla manovra 2025 riguarderà 1,3 milioni di lavoratori in più rispetto ai 13 milioni già beneficiari. Il nuovo limite di reddito per accedere al taglio sarà esteso fino a 40.000 euro, rispetto ai 35.000 euro previsti nel 2024.
Limiti agli stipendi dei manager pubblici
Un altro tema centrale della manovra riguarda il tetto agli stipendi dei manager di enti pubblici e privati che ricevono contributi statali. Secondo il senatore Dario Damiani, questo limite ha già portato molti manager a lasciare la pubblica amministrazione per il settore privato, causando un depauperamento delle risorse umane. Damiani ha sottolineato la necessità di una riflessione su questa misura, per evitare ulteriori perdite di figure chiave nella P.A.