ROMA – Pensioni. Solo 12,5 mln su 20 gli over 65: 40 miliardi “rubati” a welfare e crescita. La spesa previdenziale italiana è sbilanciata nel rapporto fra generazioni, la tutela dei diritti acquisiti si mangia il futuro dei giovani, inibisce la crescita potenziale, realizza una sperequazione contributiva. Si tratta di una lettura che fa gridare allo scandalo contro pensioni d’oro e altri privilegi come quelli parlamentari, che rischia però di non colpire nel segno. Ricalcolare gli assegni pensionistici, rileva oggi Francesco Grillo in un editoriale sul Messaggero, è indispensabile a patto di evitare la “criminalizzazione” dei soliti noti (quelli cioè che hanno pagato secondo le leggi e non hanno usufruito di scivoli, baby-pensionamenti, minori anni di contribuzione, trattamenti di favore). Basta partire da un dato, la composizione della platea beneficiaria e dal confronto, per esempio la Germania, con la nazione con il welfare più solido.
Pochi dicono che in Italia sono 20 milioni circa i percettori di pensioni rispetto ai 12,5 milioni di cittadini con più di 65 anni: ciò segnala che l’area del privilegio è molto più vasta di quella delle pensioni d’oro o di quelle dei parlamentari, e che a beneficiarne siano state intere generazioni. Abbiamo, in realtà, usato l’Inps per fare ciò che altrove si fa utilizzando risorse e competenze disegnate per combattere la disoccupazione e l’esclusione: questo errore semantico produce però le ingiustizie che stanno scollando questo Paese in corporazioni e generazioni vicine allo scontro tra poveri.
Alla luce di questo dato è più facile comprendere come, se si vuole interrompere il circolo vizioso (solo sfiorato dalle tante e mai risolutive riforme previdenziali) di uno Stato che paga molto di più rispetto ai contributi versati facendone pagare il costo a chi lavora, è necessario guardare a quell’area enorme di pensionati sotto i 65 anni.
Rispetto alla Germania, spendiamo il 17,3% del Pil contro l’11,8%, ma va registrato che gli anziani tedeschi over 65 in stato di povertà sono molto meno numerosi che in Italia (8,4% contro il 12,8%). Significa che una riduzione della spesa non deve significare necessariamente una diminuzione delle prestazioni. Significa che, affrontando di petto il problema e approssimando anche solo per metà l’eliminazione dello spread previdenziale (tanto contribuisci tanto prenderai) con la Germania, si libererebbero risorse per il 5% del Pil. Uno schock contabile di dimensioni che fannoimpallidire ogni pur ambizioso provvedimento di spending review.
Avremmo a regime 40 miliardi l’anno che sono sufficienti per poter, davvero, fare il miracolo: raddoppiare la spesa in educazione e moltiplicare le stime della crescita di lungo periodo; o in alternativa ridurre di un terzo il cuneo fiscale creando un poderoso incentivo ad assumere. Se volessimo, invece, lasciare il risparmio nell’ambito della spesa del welfare che in Germania pesa sul Pil quanto in Italia, avremmo risorse per garantire asili nido a tutti (fondamentale per consentire alle mamme di non uscire dal mondo del lavoro e alla società italiana di ricominciare a fare figli) e per un percorso di formazione a chiunque – non solo giovane – si trovi in uno stato di non occupazione.
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