L’inflazione è quella del 2022 ma le pensioni d’importo sopra i 2100 euro lordi non vedranno un euro di rivalutazione fino a marzo 2023. L’Inps ha fatto sapere che per febbraio non se ne parla, non specificato se perché Inps amministrazione non ce la fa a fare conteggi e mandati di pagamento o se per altri motivi (improbabile maxi effetto cassa?).
Non un mese di ritardo nell’adeguare l’importo delle pensioni ma due. Di solito la pensione rivalutata in relazione all’inflazione subita va in pagamento dal primo di gennaio: inflazione 2022, adeguamento gennaio 2023. Stavolta no, stavolta l’Inps aveva già fatto sapere che rivalutava (e di conseguenza pagava rivalutate) solo le pensioni fino a 2.100 lordi. Perché sulle altre non voleva rischiare di pagare somme da poi recuperare. Era infatti in corso l’esame della Legge Bilancio che sulle altre pensioni, quelle sopra i 2100 lordi, andava giù pesante e tagliava, dimezzava o riduceva di due terzi la rivalutazione di legge appunto all’inflazione. Quindi l’Inps aveva detto: le pensioni sopra i 2100 lordi le paghiamo, rivalutate, da febbraio e non da gennaio. Ora Inps dice: da marzo. Tanto…
Dopo averli ufficialmente dichiarati figliastri del welfare nazionale, ai pensionati con pensioni sopra i fantasmagorici 2100 euro lordi un altro scappellotto si può darlo rinviando loro di due mesi il pagamento dell’adeguamento all’inflazione. Tanto secondo scelta di governo (obbligata fino a un certo punto) la bastonata vera l’hanno già avuta, roba da tramortire. Un buffetto in più…Tanto da 2100 euro lordi in poi se si è pensionati si è considerati pensionati ricchi. Non bisognosi e non meritevoli di adeguamento delle loro pensioni all’inflazione.
Fatta l’inflazione (ufficiale) al 7,3 per cento base 2022, la Legge Bilancio dice ai pensionati con pensioni sopra i 2100 euro lordi: a te adeguamento non al 7,3 per cento ma a tre quarti del 7,3 per cento, a te invece adeguamento alla metà del 7,3, a te ancora adeguamento ad un terzo del 7,3 per cento. Un taglio mica da poco e che vale e dura per tutta la vita del pensionato, la quota di rivalutazione mancata ovviamente si trascina appunto a vita. Per farla ancora più tosta per i pensionati sopra i fatidici 2100 lordi, la rivalutazione prima veniva calcolata a scaglioni di reddito. Quindi sarebbe stata: 100 per cento per la parte di pensione fino appunto a 2100, 85 per cento per la parte successiva fino a…e poi 75 per cento, 50 per cento a scalare secondo scaglioni come si fa con le aliquote Irpef. Invece no, stavolta Legge Bilancio dice che la rivalutazione mancata si applica al totale della pensione. Quindi taglio su taglio della rivalutazione.
Una rivalutazione integrale di tutte le pensioni al tasso dell’inflazione era, è e sempre sarà impossibile, impraticabile. E anche ingiusto: non è che i pensionati possano essere esclusi dall’inflazione. Però il legiferare come se sopra i 1500 netti al mese di pensione si fosse ricchi o almeno agiati tanto da reggere tutta o quasi l’inflazione è scelta politica e sociale. Per decine di migliaia di balneari o benzinai o migliaia di dipendenti Ita grande attenzione e cura da parte del governo e della politica, per i dirigenti della Pubblica Amministrazione fresca una tantum senza limitazioni percentuali legate all’importo dello stipendio. Per milioni di pensionati sopra i 1500 euro netti al mese un secco taglio condito da sostanziale indifferenza. Ai pensionati con pensioni considerate ricche un taglio di circa tre miliardi annui. Dove altro poteva trovarli il governo così tanti e così pronti, anzi pronto cassa? Scelta obbligata allora? Solo fino a un certo punto, solo accettando come corretto, giusto e congruo e immutabile un welfare che è invece storto, ingiusto, intollerabile e perfino fazioso.
Non sempre ma in una grande percentuale sì: le pensioni sopra i 2100 lordi al loro crescere d’importo sono in stretta relazione con il crescere dell’importo e della massa dei contributi versati dal lavoratore e dall’azienda, invece le pensioni sotto i 2100 vedono al calare dell’importo una correlazione con il rarefarsi dei contributi previdenziali versati, rarefarsi talvolta fino a sparire e comunque monte contributi complessivo versato quasi sempre…collinare. Non è una legge universale e fissa ma spesso la pensione bassa ha una base contributiva bassa, se non bassissima o nulla. Le pensioni medio e alte di importo hanno invece base contributiva alta. Sono queste le pensioni del ceto medio delle professioni.
Quel ceto medio che i parametri reddituali (redditi dichiarati intorno ai 50 mila lordi annui) di fatto escludono da ogni bonus o agevolazione fiscale o para fiscale. Quello stesso ceto medio però che paga la gran parte dell’Irpef e quindi del welfare a sostegno del quasi ottanta per cento (otto su dieci!) contribuenti italiani che dichiarano al fisco redditi entro i 29 mila annui. Su questa bugia, su questa menzogna di massa è costruita la mappa del welfare e quindi anche della previdenza. Col risultato paradossale che si vedono rivalutate al 100 per cento dell’inflazione pensioni di indigenza e sopravvivenza ma anche e in gran numero pensioni di chi mai o quasi mai ha pagato tasse e contributi che doveva, pensioni basse che diventano di fatto integrazioni minime al reddito medio-alto sempre occultato. E si taglia invece la rivalutazione su pensioni non solo basate su contributi e tasse pagate ma di importo realmente medio (con 2500 euro netti al mese sei tutt’altro che agiato economicamente).
Le pensioni diciamo non di previdenza ma di assistenza sono milioni. Contribuiscono quindi a tenere larga la forbice (non a tutti nota e a pochi evidente) tra numero dei pensionati in Italia (16, 1 milioni all’ultimo conteggio) e numero delle pensioni mensilmente pagate (22, 8 milioni). Già perché molti pensionati sono titolari di più pensioni, magari piccole ma più d’una. Contrariamente a quanto sembra pensare l’opinione comune queste 22,8 milioni di pensioni non sono a carica di una supposta inesauribile cassa di Stato, sono sulle spalle di coloro che lavorano. Quanti? In Italia 23 milioni. Pochi. Pensioni in essere e retribuzioni in essere quasi in pari a quota 23 milioni. E da dovunque pressioni e pulsioni per più sollecite pensioni, in modo che i milioni di pensioni superino e non di poco i milioni di stipendi e salari. Uno stato di costante, continua, permanente ebbrezza collettiva. Nella quale non guasta l’aneddoto: ci sono 353 mila e dispari italiani che la pensione la prendono da…quaranta anni! Magari sempre rivalutata al massimo dell’inflazione.
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