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Perché i giganti del web non pagano le tasse in Italia e perché non si riesce a fare una Web Tax globale (foto Ansa) - Blitz Quotidiano
È notizia di queste ore: la Procura di Milano ha deciso di archiviare il procedimento per evasione fiscale avviato nei confronti della Google Ireland Limited. La decisione è stata presa dopo che il colosso del web ha deciso di versare al Fisco italiano 326 milioni di euro.
Questo contenzioso è stato archiviato, ma la questione “tasse e colossi del web” non è certamente chiusa, né in Italia né altrove.
Come fanno i giganti del web a non pagare le tasse
L’argomento spesso diventa politico e viene utilizzato come “arma” da chi ha un approccio giustificazionista verso l’evasione. Il concetto è: “Perché prendersela con i piccoli quando ci sono i giganti che non pagano?”
Al di là delle considerazioni politiche, è un dato di fatto che questi giganti incassano in un paese e pagano quasi tutte le tasse dove c’è un fisco più conveniente. Si tratta di uno spreco immenso di risorse che grava su bilanci pubblici già compromessi, come nel caso dell’Italia, dal debito pubblico e dall’evasione ed elusione. Ma come fanno?
Apple, Amazon, Microsoft, Google e Facebook, ma la lista continua ad allungarsi, aumentano i ricavi e riducono le imposte versate sugli utili. A dirlo è uno studio di Mediobanca. Soltanto nel triennio 2019-2021, le più importanti multinazionali dell’high-tech sono riuscite a non pagare in Italia tasse dovute per 36,3 miliardi di euro, un valore pari ad almeno due manovre finanziarie. Per farlo, spostano il fatturato delle controllate italiane in Paesi dove le aliquote fiscali sono basse.
Mediobanca ha preso in esame 15 colossi mondiali del web e del software che hanno una filiale in Italia. Quello che è emerso è che, nel 2019, Amazon ha pagato in Italia tasse per soli 6 milioni, Microsoft per 16,5 milioni, Google per 4,7 milioni, Oracle per 3,2 milioni e Facebook per 1,7 milioni. Quasi ridicole le somme versate da Uber (153 mila euro) e Alibaba (20 mila euro).
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La lacuna legislativa
Il problema è legato al fatto che questi colossi sfruttano una lacuna legislativa che consente loro di risparmiare sulle tasse spostando il fatturato in altri Paesi. Una pratica che ogni tanto lo Stato italiano cerca di bloccare con delle multe. I colossi pagano, continuando però a fatturare come se niente fosse. Da qui la richiesta, da più parti, dell’introduzione di una Web tax.
I Big Tech, come Google, Apple, Meta, Amazon e Microsoft, hanno introiti più ingenti del Pil di Stati come la Svezia o Israele. E almeno il 40 per cento dei loro introiti viene tassato nei paradisi fiscali.
Del tema se ne sono occupati al G7, al G20 e all’Ocse. Se n’è occupata anche l’Unione Europea e le Nazioni Unite, ma i risultati ancora non ci sono.
L’Onu, attraverso il Global Digital Compact approvato lo scorso settembre, ha siglato un patto che cerca di rispondere anche al problema del fisco.
L’Unione Europea, nel 2018, ha messo a punto un insieme di regole per equilibrare una asimmetria fiscale che impedisca ai colossi digitali di pagare una media del 9,5 per cento di tasse, contro il business tradizionale soggetto a una tassazione del 23,2 per cento.
Durante la pandemia, le società di Big Tech hanno avuto un’ulteriore travolgente ondata di profitti. Per questa ragione, nel giugno del 2021, il G7 ha approvato all’unanimità una tassa globale che ha imposto che il 15 per cento venga pagato nel paese in cui si fattura. Ciò vale per tutte le multinazionali, incluse quelle digitali, indipendentemente dalla loro ubicazione amministrativa.
L’accordo rggiunto era importante e senza precedenti, pur nella assai modesta percentuale della tassazione in una prospettiva internazionale, dove il livello medio di tassazione delle imprese si aggira intorno al 25 per cento. L’accordo è stato poi confermato anche nel G20 dell’ottobre 2021 ma al momento resta fermo al palo. Anche perché, pur facendo entrare risorse addizionali prima perdute, c’è il rischio concreto che diventi una soglia minima a fronte di profitti sempre più alti.
Insomma, al momento la situazione è in stallo. E potrebbe rimanerci ancora per diverso tempo.