Continuano i tagli alle pensioni: bisogna lavorare più a lungo e pagare continue penalizzazioni. Come difendersi.
Tanti lavoratori temono per il loro futuro. L’ultima legge di Bilancio ha confermato o inasprito varie penalizzazioni sulle pensioni. E a pagare il prezzo di queste novità sono soprattutto certe categorie e determinate classi di età. L’impressione generale è che le condizioni siano nettamente peggiorate rispetto alla tanto criticata legge Fornero.
In fase elettorale, si era per esempio parlato tanto di quota 41, ovvero della possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dal requisito anagrafico. Ma le cose appaiono oggi molto diverse. La misura era stata proposta (e potrebbe tornare in auge come ipotesi nel 2025) per offrire una via d’uscita anticipata dal lavoro rispetto ai requisiti attuali della legge Fornero.
Che, ricordiamo, richiede 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Al di là dei proclami, gli effetti reali parlano invece di pesanti tagli sulle pensioni. Specie per quelle anticipate. Molti lavoratori sembrano dunque in forte dubbio, lacerati tra la possibilità di uscire in anticipo dal lavoro e l’oggettivo rischio di perdere dei soldi sulla pensione.
Con l’uscita anticipata a 62 anni con la quota 103, nel 2024 si è di fatti assistito a un peggioramento diffuso delle condizioni per i lavoratori rispetto al 2023. Nella proroga della misura sono state introdotte varie modifiche che hanno penalizzato i lavoratori, comportando dei tagli alle pensioni. Fino al 31 dicembre 2023, quota 103 si otteneva a 62 anni e con 41 anni di contributi.
E i lavoratori potevano mettersi in tasca una pensione calcolata almeno in parte con il sistema retributivo (per i periodi fino al 1996 o al 2012). Quindi, fino a un anno fa, il calcolo della pensione era ancora misto, mentre ora è completamente contributivo. E ciò comporta l’eliminazione della parte dell’assegno calcolato in base alle ultime retribuzioni. Ovvero un taglio fino al 30%.
Questa penalizzazione per i lavoratori che vogliono aderire a quota 103 potrebbe essere solo la punta dell’iceberg. Gli effetti più gravi delle nuove politiche previdenziali potrebbero infatti rendersi evidenti solo nei pensionamenti dei prossimi anni. Per ora, è per esempio ancora possibile prendere in considerazione delle alternative.
Le penalizzazioni che interessano principalmente i lavoratori vicini ai 62 anni di età e con 41 anni di contributi possono quindi essere evitate. A smarcarsi dal rischio sono coloro che possono optare per una misura diversa di pensionamento, come Opzione Donna (che sarà attiva per il resto del 2024), oppure sfruttare la quota 103 del 2023. Ciò è possibile se i requisiti sono stati raggiunti già prima del primo gennaio 2024.
Chi ha maturato i requisiti in tempo utile ha in pratica preservato il diritto a sfruttare la stessa misura dello scorso anno, nonostante i cambiamenti introdotti dalla manovra. A ben vedere, però, molti lavoratori non hanno alternative. Se un dipendente maschio che ha iniziato la contribuzione a 19 anni raggiunge i 42 anni e 10 mesi e 3 mesi di finestra a 62 anni e un mese, la decurtazione piena si riduce di un terzo a 63 anni e un mese.
E arriva ai due terzi a 64 anni e un mese. Gli unici a poter evitare la decurtazione massiccia sono i lavoratori che possono vantare contribuzioni continuative senza interruzioni a partire almeno dal ventunesimo anno. E si tratta di situazioni, verosimilmente, non così diffuse.
Se si considera l’aspettativa di vita, la decurtazione è addirittura superiore per coloro che non sono prossimi al pensionamento negli anni a venire. Si potrebbe anche arrivare a tagli alle pensioni pari all’intero ammontare della liquidazione! Chi si lamenta oggi neanche riesce a immaginare quanto si lamenteranno coloro che dovranno andare in pensione fra cinque o dieci anni.
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