ROMA – L’era del petrolio low cost come impatta sulle nostre vite? Con i prezzi del greggio in caduta libera, non c’è da aspettarsi una immediata risposta alla pompa di benzina, anzi per ora è 6 centesimi al litro più cara di quanto dovrebbe, denunciano le associazioni consumatori, colpa delle accise (ancora al 69% sul prezzo della benzina).
Però si può ragionevolmente sperare in una ripresa dei consumi, in un abbassamento delle tariffe aeree (anche qui bisogna aspettare perché le compagnie acquistano il cherosene con mesi di anticipo). Tuttavia, le compagnie petrolifere e l’indotto che generano saranno costrette a dolorosi tagli occupazionali. Germania e Italia, paesi manifatturieri per eccellenza, ricevono solo vantaggi, a patto che il prezzo non si metta a oscillare troppo.
Più complicati, e in certa misura preoccupanti, gli effetti del petrolio low cost sugli assetti geo-strategici e più in generale sull’economia globale. Non sono solo la Russia di Putin o il Venezuela di Maduro (ma anche gli Usa dove un terzo dei produttori rischia di saltare) a seguire con trepidazione le quotazioni in caduta libera del petrolio, con un mini-rimbalzo il 12 ottobre stroncato dalle scorte massicce accumulate negli Usa.
Il bilancio pubblico della Russia è “sostenibile con i prezzi del petrolio a 82 dollari al barile” e dunque “la strategia ora dovrà essere cambiata”, ha detto il ministro delle Finanze Anton Siluanov. Che ha poi avvertito: “E’ molto probabile che vi sia un’ulteriore riduzione del prezzo del greggio nel prossimo futuro”. Di male in peggio, dunque.
Il greggio sotto 30 dollari sta diventando un serio grattacapo anche per la Bce e la Fed americana, che rischiano di dover rifare i conti e rivedere alcune scelte (soprattutto la prima) di fronte a una crescita globale ancora più fragile del previsto. Dopo una puntata ieri sotto i 30 dollari, ai minimi dal 2003, il 13 gennaio il barile Wti ha tentato un rimbalzo del 4%, azzerato dal balzo delle scorte americane a 482,6 milioni di barili.
Il Brent a Londra scende sotto 30 dollari per la prima volta dal 2004. Ma c’è un altro grafico a cui in molti cominciano a prestare attenzione: non è quello dei futures con consegna nei prossimi mesi, ma il forward a cinque anni, crollato a poco più di cinquanta dollari. Un valore che dà ragione a chi sostiene che i prezzi petroliferi si riprenderanno con una lentezza esasperante, complice anche la domanda indebolita e tutte le incognite che ruotano attorno alla Cina.