Petrolio a 45 dollari il barile (115 $ estate scorsa): Italia risparmia 20 mld

Petrolio a 45 dollari il barile (115 $ estate scorsa): Italia risparmia 20 mld
Petrolio a 45 dollari il barile (115 $ estate scorsa): Italia risparmia 20 mld

ROMA – Petrolio a 45 dollari il barile (115 $ estate scorsa): Italia risparmia 20 mld. Solo pochi mesi fa, quest’estate, il prezzo del greggio al barile toccava i 115 dollari: oggi che è sceso intorno a 45 dollari, un calo secco del 60%, siamo in piena guerra dei prezzi, con ricadute immaginabili per i produttori (in Venezuela il cibo è stato razionato, Putin dovrà fare a meno di 134 miliardi di dollari) ed esiti imprevedibili per gli equilibri geo-politici.

La buona notizia del risparmio di una ventina di miliardi da parte dello Stato italiano per la diminuzione della bolletta energetica non allontana però la grande preoccupazione che somma una spirale deflattiva (già in corso in Europa) con prezzi al consumo stabili o calanti e la constatazione di una diminuzione strutturale della domanda di energia che insieme affossano le speranze di crescita economica. La ricaduta sull’Italia del calo dei prezzi è ben spiegata da Maurizio Ricci su Repubblica.

Per l’Italia, passare da un prezzo medio del barile di 100 dollari, come nella prima metà del 2013, ai 50 dollari di adesso vuol dire dimezzare la bolletta petrolifera. Per acquistare un milione 150 mila barili che compriamo ogni giorno, invece di 115 milioni di dollari, ne spendiamo 57,5 e ne risparmiamo altrettanti. In un mese, significano 1,72 miliardi di dollari in meno. Se il prezzo, come scommettono molti, rimarrà a questo livello, la bolletta petrolifera 2015 sarà di 20 miliardi di dollari più bassa di quello che ci potevamo aspettare.

Per il singolo consumatore, l’effetto è assai meno vistoso: da quest’estate, il prezzo del gasolio alla pompa è sceso solo del 15 per cento. Tuttavia, in assoluto non è poco, soprattutto se si considera che il trasporto è una voce di costo che arriva anche al 30 per cento del prezzo finale, ad esempio, degli alimentari. E, comunque, 20 miliardi di dollari di esborso valutario in meno per le importazioni sono una boccata di ossigeno per la bilancia dei pagamenti. (Maurizio Ricci, La Repubblica)

Goldman Sachs (il più grande investitore nel settore petrolifero) prevede un assestamento a questi prezzi di lunga durata, scommettendo che il greggio a consegna fra un anno non supererà i 55 dollari al barile. L’Arabia Saudita, il maggior produttore di petrolio al mondo, che ha sempre fatto il bello e il cattivo tempo sui prezzi, assicura che mai più il prezzo al barile supererà i 100 dollari. La scelta di diminuire i prezzi, poi, è stata incoraggiata con maggior forza proprio dai sauditi per bloccare sul nascere la concorrenza dello shale oil, lo scisto estratto con la tecnica del fracking in Usa, ancora valida sopra i 70 dollari al barile.

Si tratta di un’altra variabile esplosiva per la finanza mondiale visto che questo tipo di estrazione permette una produzione molto limitata e per ripagare l’investimento è necessario aprire di continuo nuovi bacini estrattivi, con costi elevatissimi: in pratica, i tanti produttori lanciati verso un business che in teoria avrebbe dovuto assicurare l’autonomia energetica Usa (specie nei confronti del Golfo Persico e della Russia) sono indebitati fino al collo con le banche, assicurate al loro volta con obbligazioni in derivati suscettibili di far scoppiare una nuova disastrosa bolla finanziaria.

“A 45 dollari a barile il 95 per cento della produzione di shale oil è fuori mercato” spiega ancora Ricci. L’Arabia Saudita, vista la diminuzione della domanda (il boom cinese aveva portato al boom dei prezzi) e la concorrenza americana si vede costretta a difendere con i denti il suo segmento di produzione.

Il mercato del petrolio è infatti un mercato all’ultimo respiro, dove nessuno ha fiato da risparmiare. Se il prezzo scende, tutti, da Putin a Maduro all’ultimo fracker, cercano di vendere più barili, per compensare, con il volume di vendite, quello che perdono in prezzo per barile. Altrimenti, vanno sotto, anzitutto con le banche. Ecco perché, se il prezzo crolla, crolla sempre più velocemente: l’offerta, in realtà, non diminuisce, ma aumenta.

Gli unici che possono permettersi di ridurre la produzione sono i sauditi. Lo hanno fatto spesso, in passato, per aiutare gli altri sceicchi e i colleghi dell’Opec. Se lo facessero adesso, però, sussidierebbero i cowboys dello shale. Non ne hanno nessuna intenzione. Nei piani di Riad, il prezzo dovrà rimbalzare solo dopo che una spietata decimazione avrà ripulito il mercato. (Maurizio Ricci, La Repubblica)

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