Prepensionamenti si può. Inps: 4 anni prima, azienda paga , pensione cumulabile

 

Prepensionamenti si può. Inps: 4 anni prima, azienda paga , pensione cumulabile
Prepensionamento: si può di nuovo, ma Fornero style

Prepensionamenti: la parola magica per milioni di italiani, stella polare per ogni azienda in crisi, torna a splendere nel nostro firmamento, anche se costerà caro.

Le aziende possono decidere di mandare in prepensionamento il personale che, a causa della crisi economica o per altri motivi, risulta in eccedenza. Ma devono pagare un prezzo piuttosto alto.

Questo novo tipo di prepensionamento è previsto nella riforma Fornero e ora l’ Inps ha diffuso le regole applicative.

Nel linguaggio dell’Istituto di Previdenza per antonomasia si chiama procedura di esodo volontario.

Secondo Marino Longoni di Italia Oggi, le aziende

“possono anticipare di quattro anni il pensionamento dei propri dipendenti (se questi sono d’accordo), ma dovranno versare all’Inps ogni mese l’importo dell’assegno che l’Inps girerà all’ex dipendente fino al raggiungimento del diritto ordinario alla pensione, più il 33% dei contributi previdenziali calcolati sul valore precedente”.

Insomma una tombola. Ma al costo elevato corrisponderà la certezza che il dipendente è uscito, che la riorganizzazione può procedere senza persone che remano contro e che il costo avrà un termine, anche se dopo 4 anni.

“Il lavoratore uscirà dall’azienda, ma potrà cumulare l’assegno Inps con eventuali altre retribuzioni, nel caso riuscisse a trovare un nuovo impiego; o lo potrà cumulare con il reddito di lavoro autonomo, laddove dovesse decidere di fare impresa o consulenza da sé (anche co.co.co.)”.

Per anni i prepensionamenti sono stati una valvola di sfogo importante, in molti casi anzi si traducevano in una specie di bonanza, come accade per i lavoratori poligrafici (quelli dei giornali) che alla pensione Inps potevano aggiungere quella di un loro fondo integrativo.  Alla fine si ritrovavano in prepensionamento in età giovanile: gente che aveva cominciato al lavorare a 14 anni nelle tipografie, andava in pensione a 50 anni mettendo assieme più del ricco stipendio della categoria  integrato da straordinari.

La nuova strada imboccata dall’Inps ha un fondo di giustizia, perché fa pagare il costo della ristrutturazione aziendale e del prepensionamento a chi ne trarrà il maggior beneficio, l’azienda.

Ma, fa notare Marino Longoni, le aziende continuano

“a pagare le quote contributive che una volta erano destinate a coprire eventi quali la mobilità o la cassa integrazione o la disoccupazione “.

Ma ora, dopo tutte le riforme degli ultimi anni, quelle prestazioni sono state ridotte o annullate, mentre l’Inps

“continua comunque a incassare i contributi, sotto altre voci, senza che ci sia più un controprestazione da erogare”.

La domanda che segue è perché l’Inps non abbia ridotto i contributi.

La risposta è da cercare nella grande massa dei dipendenti pubblici, per i quali il sistema privato è chiamato a pagare ancora una volta. Infatti, spiega Marino Longoni,

“l’Inps ha un buco di 23 miliardi causato dai debiti dell’Inpdap, la Cassa di previdenza dei dipendenti pubblici, che ha assorbito” per evitare che saltasse.

Alla fine, “a pagare il conto saranno, naturalmente, i lavoratori e le imprese”.

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