Privatizzazioni, seminario Tremonti: nuova grande svendita?

ROMA – A fine mese l’Italia esporrà al mondo i gioielli di famiglia, quelli che è costretta a vendere per fare cassa, quelli che i principali organismi finanziari mondiali concupiscono da tempo. Obiettivo reperire 400/500 miliardi di incasso sul mercato. Organizzatore dell’incanto Giulio Tremonti, padrone di casa a via XX settembre, dove si svolgeranno i preliminari e si decideranno le basi d’asta. Investitori nazionali ed esteri faranno a gara per intervenire a quello che il ministro preferisce chiamare un “seminario” sulle dismissioni del patrimonio pubblico. Un eufemismo che non piacerà a chi già evoca la “grande rapina” del 1992, all’epoca del salvataggio della lira. Non dovrebbe, però, suscitare imbarazzo, per un governo che si definisce liberale, pronunciare la parola “privatizzazioni”: è fisiologico che nella dialettica politica vi sia chi paventi clamorose svendite, chi si incarichi di indicare complotti di ogni genere e via discorrendo. L’importante è che se privatizzazioni ci saranno siano trasparenti e l’opinione pubblica sia messa in grado di giudicare a che prezzo.

Non è un caso però che il Sole 24 Ore (poco incline a complottismi di sorta) per commentare il previsto seminario evochi una seconda edizione del Britannia, riferendosi a quando nel 1992 l’allora direttore generale del Tesoro Mario Draghi, incontrò sul panfilo della famiglia reale inglese, il Britannia appunto, una serie di investitori inglesi per presentare la privatizzazione di Iri, Eni, Isa e Imi. Un’operazione gigantesca di dismissioni pubbliche che fece fiorire un’impressionante serie di ricostruzioni dietrologiche, che in rete addirittura trabocca.

Sulla lista della spesa gli investitori cercheranno di spuntare parecchie voci in lista: immobili, concessioni statali, utilities, ma anche terreni, fabbricati, caserme. “Venghino signori, venghino”: Tremonti si esprimerà in inglese forbito ma dovrà pur sempre vantare la bontà della sua mercanzia. Tuttavia, anche una massaia sa che dal negoziante in difficoltà riuscirà a spuntare qualcosa sul prezzo e se si è sparsa la voce che sta con l’acqua alla gola si preoccuperà solo di arrivare prima di tutti all’apertura, dove una folla, verosimilmente, si accalcherà in una lunga fila. Un po’ come i ricchi investitori cinesi che si sono già avvantaggiati, con la corsia preferenziale concessa da Tremonti. 

Come sia, il maggior incasso il governo se lo aspetta da tre ambiti specifici: Spa controllate dagli enti locali,  le società concessionarie, il patrimonio immobiliare. Un calcolo sui beni immobili e sui terreni posseduti da 11 mila amministrazioni pubbliche, locli e centrali, emerge un valore stimato in 370 miliardi circa, ma la stima riguarda il 53% delle amministrazioni interessate. Sono inclusi ministeri, le Asl, le università, gli ospedali, gli alloggi Iacp, le agenzie fiscali, gli enti previdenziali, Regioni, Comuni, Province.

Più complicato il mondo delle concessionarie: Rai, Poste, Ferrovie, non sono state mai privatizzate. Snam Rete gas, Spa che distribuisce gas su concessione comunale, è già sul mercato. Ci sono società che gestiscono aeroporti, come Sea, Sagat.  Qualche dismissione appare già poco percorribile. Le quote strategiche di Eni e Enel detenute dallo Stato per esempio: vendere la rete Terna potrebbe significare alienare all’estero, a un privato il controllo della rete nazionale di energia. Sulla Rai la partita sarebbe puramente politica, ideologica, stante la presa ferrea sull’azienda dei grandi partiti. Le Poste hanno un gioiello di redditività come Banco Posta, ma venderlo implicherebbe la rinuncia a una fonte finanziaria certa per sostenere i servizi postali in eterna perdita.

 

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