Erano trecento milioni, erano nelle intenzioni giovani e forti. Soldi nuovi e giovani e forti di una motivazione nuova e forte per essere spesi. Nell’orrido gergo buro-leguleio da spendere per il “miglioramento dell’offerta formativa”. Traduzione: da spendere a vantaggio e ad uso di coloro che della scuola sono i “consumatori”, a vantaggio e per coloro che del servizio sociale scuola si avvalgono come cittadini-studenti. Ma come si fa a spendere a vantaggio dei cittadini-utenti di un servizio pubblico? Politica e sindacati che del servizio pubblico si occupano e che il servizio pubblico occupano di come si faccia ne hanno perso memoria e nozione.
Letteralmente non riescono neanche a concepire, pensare come si possa in concreto fare una cosa del genere, non fa parte, diciamo così, del mansionario politico e sindacale. Infatti ci hanno pensato a lungo, al Ministero, in Parlamento, nei partiti, In Cgil-Cisl-Uil e sindacati autonomi di categoria. E alla fine hanno concluso di metterli, spenderli quei trecento milioni in stipendi dei prof e dei lavoratori amministrativi della scuola. Erano trecento giovani e forti quei milioni e si sono spiaggiati negli stipendi.
No, non sono troppi e neanche sufficienti a colmare il divario tra quello che è lo stipendio del prof professionista e competente e quello che dovrebbe essere. Un’ottantina di euro netti in più al mese non arricchiscono né ricompensano una categoria afflitta dalle basse paghe e spiaggiata anch’essa sulla bassa professionalità media. Ma la destinazione finale, quasi obbligata e automatica, di quei trecento milioni conferma che la scuola italiana è in primo luogo amministrata e governata e pensata in funzione di chi ci lavora e dopo, solo dopo, anzi spesso neanche dopo, in funzione di chi ci studia. Da tempo i governi usano la scuola come sbocco lavorativo di manodopera non specializzata. Da tempo i sindacati governano la scuola nell’interesse e ottica del “prima i lavoratori della scuola”. Da tempo le famiglie hanno accettato un patto sociale che al confronto scambiare la primogenitura per un piatto di lenticchie era un grande affare.
Il patto accettato dalle famiglie è: tu mi garantisci la finzione, l’orpello, il pennacchio del “diritto al successo scolastico dei miei figli” e io non pretendo, neanche mi sogno che tu prof o tu scuola sia in grado di azionare “l’ascensore sociale” della cultura, competenza, studio su cui i miei figli dovrebbero, se capaci e meritevoli, essere accompagnati e fatti salire. Prof e ammnistrativi della scuola 124 euro lordi in più al mese nello stipendio, buon pro faccia loro. Ma l’ascensore sociale costituito dalla scuola è e resta senza ingegneri, architetti e neanche elettricisti e manutentori. Con ottanta euro netti al mese dai un’aiutino al lift, ai lift che quell’ascensore ormai rotto. neanche sanno davvero farlo funzionare.
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