ROMA – Province, riforma al palo: ritardi sul ricollocamento di funzioni e personale. Forse troppo impegnato a prendersela con i pensionati, Matteo Renzi ha trascurato il pasticcio della riforma delle province del suo compare Graziano Del Rio. L’istituto della Provincia sarebbe scomparso per legge: ma molto in teoria perché poi tutte le misure conseguenti d’attuazione sono ferme al palo, a cominciare dal ricollocamento del personale che resta u’incognita. Pare che le prime a sabotare la riforma siano le Regioni che avrebbero il compito di assegnare le nuove mansioni e valutare quelle che debbano essere surrogate.
I dipendenti non si fidano: il ministro Marianna Madia è dovuta intervenire per promettere massima attenzione e tutela su posto di lavoro e stipendio. Antonello Cherchi e Gianni Trovati sul Sole 24 Ore hanno fatto il punto sui ritardi che impediscono la rivoluzione amministrativa e rischiano di pregiudicare i risparmi attesi.
Sei degli undici passaggi chiave hanno già superato abbondantemente la scadenza senza registrare passi avanti nell’attuazione; per altri due, che erano in calendario per l’anno scorso, la macchina è ancora a metà del guado, e solo tre tappe sono state completate. Il ritardo più grave pende sul capo delle Regioni. Entro l’8 luglio del 2014, quindi oltre 10 mesi fa, avrebbero dovuto disegnare la nuova geografia delle funzioni «non fondamentali» da attribuire alle Province, oppure da redistribuire fra le stesse Regioni e i Comuni del territorio.
La prima reazione da parte di un gruppo di Regioni (Lombardia, Veneto, Campania e Puglia) è stata quella di fare ricorso alla Consulta, ma a fine marzo con la sentenza 50/2015 i giudici delle leggi hanno stabilito che la riforma non ha problemi di costituzionalità. Più efficace, quindi, si è dimostrata la resistenza passiva, portata avanti con la decisione di non decidere: finora solo quattro Regioni (Liguria, Toscana, Umbria e Marche) hanno approvato la loro legge di riordino, ma in genere queste “norme quadro” non fanno che avviare una catena di rimandi a provvedimenti successivi, senza che se ne intraveda la fine.
Se non si sa chi deve fare che cosa, è ovviamente impossibile stabilire quali dipendenti si devono spostare, e verso dove. Per far partire la giostra della mobilità, del resto, mancano ancora due provvedimenti fondamentali, in questo caso opera del Governo. […] In questo mosaico senza tasselli, allora, l’unico aspetto finora attuato davvero rischia di essere la rideterminazione della dotazione organica, cioè i tagli del 50% per le Province e del 30% per le Città metropolitane imposti dalla legge di stabilità.
Proprio qui si sono appuntate le critiche della Corte dei conti, che qualche giorno fa ha lanciato il sasso nello stagno: la legge di stabilità – hanno scritto in sintesi i magistrati contabili – ha misurato i tagli sull’idea che le Province si stessero alleggerendo di compiti e personale, ma così non è stato e rischia di non essere per lungo tempo. Secondo la Corte, per allontanare le ombre di dissesto serve un «riallineamento tra funzioni e risorse», ma è da escludere che il Governo ritorni sui propri passi in fatto di tagli. (Antonello Cherchi e Gianni Trovati, Il Sole 24 Ore).