ROMA – Recessione addio? Crescono gli acquisti. Le conseguenze della crisi. L’indice Pmi che misura l’attività manifatturiera negli Usa è salito a luglio a 53,2, superando le attese di 52,5, contro 51,9 di giugno. L’indice è ora ai massimi di quattro mesi. Il Pmi composito dell’area Euro a luglio è salito al di sopra dei 50 punti (valore che separa la crescita dalla contrazione) a 50,4 punti, il massimo da 18 mesi. Risultato migliore delle stime in Germania e Francia ma arrivano segnali di risveglio anche dai Paesi del Sud Europa.
Negli Stati Uniti l’annuncio della Federal Reserve che la sbornia espansionistica era in via di archiviazione ha raffreddato solo per un momento gli entusiasmi ma alla fine è servito a chiarire che la prima potenza commerciale del mondo ce la fa senza stimoli o aiuti non convenzionali. Luca Davi sul Sole 24 Ore spiega il perché il trend più significativo che annuncia la ripresa si verifichi in Borsa:
È stato però sui mercati obbligazionari e valutari che l’effetto Pmi ha avuto effetti maggiori. Gli investitori, rassicurati dal clima di fiducia emerso dall’indagine Markit, si sono alleggeriti del bene rifugio per eccellenza, il Bund tedesco. Il titolo di Berlino ha visto salire i rendimenti sui 10 anni di dieci punti base, all’1,647% dall’1,549% del giorno prima.
In ogni caso, il punto anche storicamente rilevante è che l’Occidente sta uscendo dalla più grave crisi finanziaria dopo quella del ’29: si sprecano le metafore, simbolicamente siamo a un punto di svolta. La luce in fondo al tunnel dell’Eurozona inizia a vedersi. Ne è sicuro Chris Williamson, il capo economista della Markit che elabora gli indici, interpellato dal Sole 24 Ore: “Il miglior valore del Pmi in un anno e mezzo fornisce un risultato incoraggiante che suggerisce come l’eurozona potrebbe, finalmente, uscire dalla recessione nel terzo trimestre”.
Il passaggio economico cui stiamo assistendo ridefinirà gli assetti anche strategici dell’intero mondo, uscito trasformato dalla crisi. L’analisi di Danilo Taino sul Corriere della Sera del 25 luglio, descrive la prudenza, specie di governi e istituzioni transnazionali, a cantare vittoria (magari anche per non desistere nelle dolorose politiche riformatrici). Ma non rinuncia a indagare come avvenga la ridefinizione delle gerarchie tra i Paesi.
Le conseguenze della crisi sono riassumibili in pochi punti. Brics ed emergenti non sono andati in recessione quindi si sono rafforzati rispetto ai tradizionali grandi. Nel frattempo la Cina ha raggiunto e superato il Giappone quanto a ricchezza prodotta, alla fine del decennio avrà un Pil superiore agli Usa. Il ritmo della crescita globale post-crisi sarà più basso: sono spariti gli effetti delle varie “bolle”, sarà un vantaggio competitivo per esempio per l’Europa, meglio abituata a ritmi meno sostenuti.
Singapore ha eguagliato la Svizzera quanto a patrimoni gestiti. Gli ex produttori di materie prime (Brasile e Russia), i fornitori di merci e servizi (Cina e India), per effetto della domanda interna che sale, stanno diventando mercati dei consumi sui quali Usa e Europa potranno contare sempre di più. E’ lecito guardare ai prossimi con moderato ottimismo, spiega Danilo Taino:
Gli sbilanci dell’economia che hanno portato alla crisi del 2008 — tra tutti il più importante, la bilancia commerciale cinese immensamente positiva rispetto agli Stati Uniti — tenderanno a ridursi con il cambiamento di modello dei Paesi emergenti, nei quali dovranno crescere i consumi più delle esportazioni. La Grande Crisi ha cioè riportato a un nuovo livello, in teoria più sostenibile, gli equilibri economici e finanziari globali. I rischi non mancano, come sottolinea spesso il Fondo monetario: una nuova crisi del debito in Europa, non del tutto da escludersi, avrebbe ripercussioni negative globali, ridurrebbe i commerci e bloccherebbe i canali finanziari, quasi certamente provocando altre recessioni. Il sentimento globale, però, si sta orientando nella direzione opposta.