L’intera sceneggiatura, la quasi totalità del racconto condiviso, la percezione sostanzialmente indiscussa, la comunicazione, sia quella rituale che istituzionale che spontanea e plebea, perfino la postura del linguaggio sono al tempo stesso basati e plasmati dalla Grande Bugia, La Grande Bugia sulle condizioni economiche e sui redditi degli italiani. Una Grande Bugia che, a postularla e diffonderla e condividerla, porta, se abbinata alla realtà di consumi e patrimoni, al miracolo di una Repubblica abitata in grande prevalenza da Poveri Benestanti. Poveri Benestanti, due termini che insieme dovrebbero costituire ossimoro, impossibilità, il diavolo e l’acqua santa. E che invece nella Grande Bugia sui redditi stanno insieme incollati e fusi.
Secondo dichiarazione Redditi 2022 (relativi quindi al 2021) il 23,75% dei contribuenti italiani (uno su quattro!) ha redditi negativi (cioè non guadagna nulla) oppure sopravvive con non più di 7.500 euro lordi annui. E quindi, sia detto per inciso, non paga un euro di tasse, a norma di legge. Altro 18,84 % dei contribuenti dichiara di lavorare e vivere con redditi tra 7.500 e 15 mila euro lordi annui (anche qui legalmente esenzione di fatto dal pagamento di tasse). Siamo già al 43 per cento dei contribuenti e quindi degli italiani e siamo ancora al di sotto dei 15 mila euro lordi annui di reddito. Altro 19,5 per cento dei contribuenti dichiara reddito tra 15 e 20 mila euro lordi annui. Si giunge così a circa il 62 per cento degli italiani che attesta di vivere, se va bene, con meno e non più di mille euro netti al mese. Possibile, vero? Sceneggiatura, racconto, percezione, comunicazione, linguaggio non se la sentono di aprire quella porta, quella delle conseguenze da trarre qualora si testasse davvero la flebile, molto flebile consistenza possibilità che le cose stiano davvero così.
Questa stessa popolazione che al 60 e passa per cento dichiara redditi in cui difficilmente il pranzo si lega con la cena è quella che, ad esempio, consuma 2320 euro pro capite in giochi e lotterie (al netto delle scommesse clandestine). E che detiene 78 milioni di smartphone. E che ha depositi bancari (solo sui conti correnti) per circa duemila miliardi. E che assomma un risparmio privato (al netto dei patrimoni portati all’estero) di circa 5 mila miliardi (al netto anche della proprietà immobiliare).
Ancora le cifre delle dichiarazioni dei redditi. Lavoratori autonomi circa 1,6 milioni. Il 10% dichiara redditi sopra i centomila annui, il 30 per cento dichiara redditi tra 35 mila e 100 mila, il 60 per cento redditi inferiori a 35 mila annui. Sotto i 35 mila dichiarati la gran parte degli artigiani e commercianti, gli idraulici, i tassisti, gli elettricisti, i falegnami, i baristi, i ristoratori. Ad esempio questi ultimi: a Milano vivono in media con redditi medi dichiarati di 20 mila annui, a Roma di 18 mila, a Napoli di 19 mila. Fino a quota 7500 euro c’è la no tax area, quindi pagano tasse sul delta di reddito tra no tax area e dichiarato.
Ma due milioni e passa hanno scelto la flat tax al 15 per cento del reddito dichiarato. Comunque chi non sceglie la flat tax dal reddito dichiarato detrae. Alla fine dei conti circa 11 milioni di contribuenti italiani non paga a norma di legge praticamente nulla di tasse. Tra questi una altissima percentuale di lavoratori autonomi. Da notare che agricoltori, pescatori, viticoltori e allevatori godono di una speciale e “temporanea” esenzione. Provvisoria dal…2017!
Le mani di chi nelle tasche di chi? I circa dieci milioni (per difetto) di fatto esenti da tasse sommati ai circa 20 milioni che di tasse ne pagano pochissimo sulla base dei redditi dichiarati “consumano” da cittadini per la sola Sanità 2144 euro pro capite. Non di tasca loro. E non di tasca loro il contributo per la scuola. Tanto meno per il welfare. Welfare cui però accedono in sostanziale esclusiva, welfare che è di fatto precluso a chi dichiara redditi sopra i 35 mila euro annui, cosa che il 60 e passa per cento dei contribuenti si guarda bene dal fare.
Le mani sono quelle di due terzi degli italiani, appunto i Poveri Benestanti, nella tasche dei resto della popolazione dei contribuenti. E questa non è progressività, sacrosanta, del carico fiscale legata al reddito reale. Questo è “pizzo” imposto dai Poveri Benestanti al resto della società. Con la costante aggiunta della beffa al danno: l’eterno piangere un salasso fiscale che, per chi sta o si colloca, si acquatta e si camuffa sotto i 35 mila lordi di reddito annui proprio non c’è.
Nota a margine, ma neanche tanto: i comparti di attività economiche con la maggior incidenza di Poveri Benestanti sono quelli che in queste settimane hanno “fatto i prezzi”. Ristorazione, commercio, artigianato, lavoro autonomo offrono merci con un tasso di inflazione reale doppio rispetto all’inflazione che lo ro stessi subiscono. Attuano cioè un trasferimento di ricchezza dal lavoro a reddito fisso alle tasche di chi “fa il prezzo”. Piccolo ma grazioso esempio: anche la carestia di taxi a Roma sia avvia a produrre il raddoppio della tariffa iniziale, da tre ad almeno sei euro. Trasferimento, alquanto forzoso, di ricchezza reale, a bissare il travaso degli anni del change money da lira ad euro (travaso allora stimato in circa 700 miliardi). Il tutto mentre i salari e il reddito fisso in Italia accusano una perdita di valore reale di circa il sette per cento rispetto a prima della pandemia. Perdita dopo un ventennio di stagnazione immobile. Perdita superiore a quella subita dai salari in ogni altro paese omologo in Europa. Ma non tutti in Europa hanno la fortuna di essere la terra del miracolo del Povero Benestante.
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