Reddito di cittadinanza, perché non decolla? Il Fatto quotidiano raccoglie le lettere di chi ne beneficia Reddito di cittadinanza, perché non decolla? Il Fatto quotidiano raccoglie le lettere di chi ne beneficia

Reddito di cittadinanza, perché non decolla? Il Fatto quotidiano raccoglie le lettere di chi ne beneficia

Reddito di cittadinanza, perché non decolla? Il Fatto quotidiano raccoglie le lettere di chi ne beneficia
Reddito di cittadinanza, perché non decolla? Il Fatto quotidiano raccoglie le lettere di chi ne beneficia

ROMA – Esiste il reddito di cittadinanza, cioè un sostegno concreto per alleviare una condizione di indigenza, eppure non c’è l’assalto al sussidio come si sarebbe potuto immaginare. Prova a capire la questione Il Fatto quotidiano che ha messo a disposizione una casella postale online per invitare i cittadini percettori come spendono il loro sussidio. Si potrebbe definirle come “lettere dalla povertà”. O la testimonianza che anche un piccolo aiuto può esser utile a non farci sentire ai margini. O a uscire da una situazione di difficoltà. Non solo economica. Ma personale. Nei confronti di terzi. Una comunità, la famiglia, una moglie, un figlio, una figlia. “Per una volta non mi sono sentito un fallito per aver pagato la comunione di mia figlia” ha scritto, tra gli altri, Giorgio.

Oppure, “Sono una donna sola con una bambina, sono in affitto e senza lavoro. Ora posso migliorare la mia situazione e garantire a mia figlia qualcosa da mangiare in più e un tetto. Ho già pagato una bolletta”, scrive Eleonora77 dalla Sicilia. “Per la prima volta grazie al Rdc, mi sento di essere aiutato e considerato dal mio Stato. Sono riuscito a pagare le bollette e gli altri soldi li ho utilizzati per fare la spesa” dice Raffaello dalla Toscana. Anche perché “difficilmente chi non ha difficoltà a comprare del cibo può capire cosa si prova”.

Sono alcune delle lettere arrivate sulla mail ‘spesadicittadinanza@gmail.com’ che Il Fatto ha sollecitato a inviare per raccontare come viene speso il Reddito di cittadinanza e che il quotidiano pubblica oggi in due pagine, che riassumono anche i dati delle domande finora presentate per ottenerlo 1.016.977), le domande arrivate ai Caf (748.742), il tasso delle domande rifiutate (25%). Oltre al numero delle domande pervenute finora all’Inps, che è pari al 57% delle famiglie in povertà assoluta, con una descrizione percentuale delle differenze regionali che sono notevoli.

In Sardegna, ad esempio, sono state presentate 46.335 domande a fronte di 35.011 famiglie povere (il 132%), mentre in Trentino Alto Adige la sovrapposizione è solo del 23%. Anche in Abruzzo il numero di domande per il reddito di cittadinanza supera la povertà (103%) e tassi elevati si registrano in Campania (85%, pari a 172.175 individui) e Toscana (84%). Tra i valori inferiori alla media prevalgono le regioni del centro-nord, con l’eccezione di Calabria e Molise (entrambe 43%). Percentuali che rivelano come il rapporto tra domande di Reddito di cittadinanza e i poveri assoluti, nelle regioni più povere è più alto.

Perché il reddito non decolla? Il tema di cui si discute in questi giorni è infatti legato al numero delle domande pervenute, che si è rivelato per l’Inps “al di sotto delle attese” si legge nell’analisi che accompagna la pubblicazione delle testimonianze arrivate al giornale via email e ci fa interrogare sul perché il Reddito di cittadinanza non decolla? E tra le spiegazioni più in voga che si possono leggere qua e là, c’è quella secondo la quale, “siccome molti lavorano in nero, preferiscono non chiedere il sussidio per evitare controlli fiscali e sanzioni penali”. Ciò che fa tirare le somme per dire che alla fin fine “in Italia non c’è poi tutta la povertà che pensavamo”. Ma “le famiglie povere – secondo l’Istat 1,8 milioni (5 milioni di individui) – sono quelle che spendono in maniera insufficiente per il sostentamento, a prescindere dalla fonte dei loro magri redditi. Magari questi poveri lavorano in nero, ma hanno comunque dei consumi da poveri” analizza l’articolista.

Secondo chi analizza le cause, invece, il Rdc non decolla “sono altri”. Ad esempio sono legate al fatto che un quarto dell’oltre un milione di domande presentate è stato rigettato dalla stessa Inps “per la mancanza di uno o più requisiti” ritenuti “troppo stringenti per la richiesta del beneficio”. E ciò che pesa di più in favore di questa “mancata corrispondenza” tra reddito di cittadinanza e povertà sarebbe da attribuire proprio ai “criteri di calcolo della scala di equivalenza del reddito che penalizzano le famiglie numerose” come lo possono essere il tetto a 6.000 euro sul conto in banca soprattutto per l’integrazione della pensione di cittadinanza oppure il requisito della residenza e dell’attestazione del patrimonio che impedisce a molti dei 500 mila nuclei di stranieri poveri (il 28% del totale) di accedere al beneficio.

La causa della disparità territoriale. Così come il motivo della disparità territoriale sarebbe da ricercare nel “diverso tasso di accettazione delle domande, con un numero di rifiuti maggiore laddove la percentuale è più alta, ma potrebbe anche risiedere nella misura statistica”. L’articolo conclude con questa riflessione: “Poiché l’obiettivo del reddito di cittadinanza è il contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale e le regole rischiano di penalizzare alcune categorie di indigenti, è già chiaro che serve qualche aggiustamento”. In che modo? Forse proprio “grazie ai risparmi sullo stanziamento inizialmente previsto, che andrebbero destinati ad ampliare la platea dei beneficiari, con correttivi che permettano di raggiungere il maggior numero di poveri”.

E stando sempre in tema di povertà, lo scorso lunedì 6 maggio il Sole24Ore ha fatto un po’ di conti in tasca alla middle class, rilevando che dal 2008 ha perso il 12% del proprio reddito, con un calo che nel decennio nella fascia reddituale che sta tra i 26 mila e i 55 mila euro. Tanto che il 43% degli italiani non riesce ad arrivare ai 15 mila euro di reddito annuo. E i più ricchi sono una quota che non supera il 5% dei contribuenti. Confronti possibili? Anche l’area Ocse non è affatto messa bene. A guardare a fondo si scopre che “il numero delle famiglie con un reddito medio è calato quasi ovunque negli ultimi trent’anni: Spagna -9,4%, Germania -5,8, Olanda -5, Italia -3,9”.

Ma in questi giorni, oltre che di povertà, sui giornali si è parlato anche molto di ricchezza. In particolare sul Sole24Ore e su Libero, che secondo dati Bankitalia-Istat “dopo tre anni di calo nel 2017 la richezza netta delle famiglie italiane è tornata a crescere (98 miliardi in più in termini fair value; +1%) ed è arrivata a 9.743 miliardi, otto volte il loro reddito” si può leggere sul quotidiano confindustriale. “Mentre quella delle società non finanziarie s’è ridotta a 1.053 miliardi (23 miliardi in meno sul 2016; -2,1%). Ciò che fa titolare a Libero così l’apertura della prima pagina del 10 maggio: “Ecco la verità sulla ricchezza degli italiani”. Ovvero, “siamo nababbi: superati addirittura dai tedeschi”. La verità? Forse, o come sempre, sta nel mezzo, come per i famosi polli di Trilussa… (fonte Agi)

Gestione cookie