Redditometro: stato di Polizia fiscale o sceriffo anti-evasione?

Redditometro. Il direttore dell’Agenzia delle Entrate Befera risponde alle critiche: “Non è da Stato di Polizia fiscale”

ROMA – Il Redditometro appena introdotto assume indirettamente i tratti riconducibili agli Stati di Polizia o si configura solo come uno strumento privilegiato e semmai più efficace nella lotta contro l’evasione fiscale? La risposta (piccata) del direttore dell’Agenzia delle Entrate Attilio Befera all’attacco dell’editorialista superliberale Piero Ostellino di domenica sul Corriere della Sera, può aiutare a circoscrivere il campo della discussione ed isolare le argomentazioni pro o contro il nuovissimo strumento di accertamento sintetico. Si confrontano due idee di società, e quindi di politica fiscale, diverse, opposte. Sullo sfondo le ideologie, date per morte, ma invece sopravvissute tra chi vuol mandare i “ricchi all’inferno” (Vendola dixit, ma anche il “fuori dalle balle ricco coglione” di Liberation al miliardario in fuga Pinault e gli insulti a Depardieu) e chi, appena sente parlare di tasse e obblighi fiscali, scatta come il cane di Pavlov ad abbaiare al comunismo e ai regimi totalitari.

Cosa contesta Ostellino al redditometro? Tante cose, forse troppe, in primo luogo la cultura che lo sottende, intimamente nemica della società dei consumi: “una burocrazia che della propria funzione ha un’idea feudale”. Che avrebbe il torto di non riconoscere l’assurdità di uno scrutinio fiscale volto a controllare, ispezionare ogni singola voce dei nostri consumi domestici e quotidiani per accertare eventuali scollamenti tra spese effettuate e guadagni presunti: ” l’italiano che paga le tasse dovrà cambiare le mutande solo una volta al mese per non incorrere nel sospetto di evasione?” Il tono della lettera si è compreso: il fatto che oltre che ad argomentare, si passi a qualche giudizio pesante e paragone infamante (i burocrati sono associati dei “Stranamore paranoidi e mitomani”, a “ex poliziotti dell’Ovra”, a “funzionari della Stasi prestati dalla Merkel” ecc…) spiega il malumore del dottor Befera.

Sì, ma a parte pauperismi di ritorno (imputabili a sinistra) e improbabili paragoni storici (Ostellino) è più interessante capire cosa pensino i due contendenti sul fatto che se i redditi delle famiglie passati al setaccio si discosteranno più del 20% dalle stime che il Fisco ritiene congrue, spetta al contribuente dimostrare che non è un evasore. Nel linguaggio giuridico si direbbe inversione dell’onere della prova. Per Ostellino basta questo a sprofondarci nei “primordi del Diritto”. Befera replica che la costruzione del redditometro “parte dall’assunto di senso comune che a una determinata spesa sostenuta deve poter corrispondere una fonte di guadagno”. E del resto il contribuente viene sollecitato a presentare delle giustificazioni, prima della contestazione fiscale vera e propria, essendo comunque lui stesso il più informato sui fatti (fiscali) che lo riguardano. Si tratta di colpire la “spudorata evasione” (Befera cita Napolitano).

Quanto allo strumento in sé, nota Befera, se è illiberale vuol dire che lo è anche l’Irs utilizzato dall’Agenzia del Fisco degli Stati Uniti, quello cioè anche più severo adottato dalla più grande liberaldemocrazia del mondo. Befera contesta in particolar modo la definizione di Stato di Polizia fiscale evocando addirittura la “società aperta” di popperiana memoria: il redditometro è palese, il suo funzionamento scoperto e consultabile, rispetta la privacy, tutto il contrario, quindi, rispetto ai sistemi segreti e inconoscibili dei regimi polizieschi.

Nulla dice, però, Befera, sul sistema di valutazione della spesa media presunta: si sa che è desunta dalle statistiche Istat. Si dovrebbe sapere che una famiglia non è un campione statistico. Dubbi e perplessità, rimasti fuori dalla polemica, riguardano anche l’affidabilità dei data base e degli incroci di dati (rilievi sono venuti dal Parlamento) che servono alla definizione di congruità o all’accertamento di eventuali scollamenti. Altre perplessità riguardano la voce “investimenti” i quali, dice il buon senso, possono occupare diversi anni di risparmi e che fatalmente sforano i guadagni effettivamente dichiarati in un unico anno fiscale. Senza contare il rischio, per nulla peregrino, che a essere penalizzati siano ancor di più i cittadini onesti rispetto alle primule rosse (non identificabili per definizione) dell’evasione totale (“Il paradosso del controllo fiscale che penalizza i contribuenti virtuosi” commenta il Corriere della Sera). Nel frattempo un consiglio: meglio conservarsi ogni scontrino, ricevuta, appuntarsi regali e donazioni, ricordare…

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