ROMA – Un vero e proprio salasso subito dagli enti locali che hanno lasciato sul campo della tenuta dei conti pubblici, in otto anni, 40 miliardi di risorse, il 2,4% del Pil, tra minori trasferimenti ottenuti dallo Stato per 22 miliardi e una sforbiciata, che ancora continua, sulla sanità da 17,5 miliardi.
E’ il bilancio della Corte dei Conti, contenuto nella relazione annuale sull’andamento della finanza territoriale. Una riduzione che si è tradotta in un aumento delle tasse locali e in minore spesa per investimenti.
Le correzioni di spesa a carico di Comuni e Regioni, osservano i magistrati contabili, hanno causato l’inasprimento della pressione fiscale e per le Regioni, a causa di una diversa disciplina del Patto di stabilità interno, “una compressione delle funzioni extra-sanitarie, a carico soprattutto delle spese per gli investimenti. E se nel 2014 la componente della spesa non sanitaria ha mostrato una “leggera tendenziale crescita” la spesa in conto capitale, in gran parte cioè gli investimenti, fa registrare “una flessione costante nel periodo 2011-2014 (-3,71%) con l’eccezione del 2013 per effetto delle risorse aggiuntive” arrivate per sbloccare i pagamenti dei debiti pregressi della P.a. (che hanno portato, per le anticipazioni di liquidità, a un aumento del 2,9% nel 2013 e 2014 della spesa sanitaria).
Per gli enti sanitari, inoltre, “significative riduzioni di pagamenti si registrano in materia di personale (-2,77% rispetto al 2013 e 5,75% rispetto al 2011). Anche per i Comuni è forte la contrazione delle spese in conto capitale (-18,4%) mentre restano “tensioni di cassa – scrivono i magistrati contabili – conseguenti ai ripetuti tagli ai trasferimenti statali disposti dalle manovre finanziarie susseguitesi dal 2011, che, verosimilmente, sono all’origine degli aumenti generalizzati dei tributi immobiliari (ICI-IMU-TASI)”.
Gli incassi sono passati infatti “dai 9,6 miliardi di euro circa (corrispondenti all’ICI 2011) a circa 15,3 miliardi di euro del 2014″. Il gettito della Tasi, osserva ancora la Corte dei Conti, “ha avuto, di fatto, un effetto redistributivo, gravando in consistente misura sulle ‘prime case’, in quanto, con 3,2 miliardi circa, ha supplito in larga parte al minor gettito Imu conseguente all’esenzione dell’imposta per l’abitazione principale”.
E “marginale ancora è stato il ruolo svolto dalle imposte che avrebbero dovuto stabilire una più stretta correlazione tra prelievo fiscale e beneficio reso (imposte di scopo, di soggiorno e da cooperazione all’accertamento dei tributi statali) e, più in generale, caratterizzare una politica del prelievo finalizzata allo sviluppo, essendo risultato che la spesa corrente diminuisce, prevalentemente, nei settori nei quali i vincoli di legge sono ineludibili (spesa per il personale e per l’acquisto dei beni), mentre aumenta per le prestazioni di servizi”.