La biologia di sintesi voleva candidarsi a nuova scienza cardine del futuro prossimo, ma le cose non sembrano procedere secondo i piani.
L’industria synbio è in crisi. E c’è chi ne gioisce. Tutte le volte che i reazionari s’indignano per questioni come il DNA sequencing, la carne coltivata, il caffè sintetico e vaccini a mRNA, magari senza saperlo, si schierano contro i progressi della biologia di sintesi. Una disciplina che potrebbe essere descritta come uno strano ibrido fra biologia classica e ingegneria teso alla costruzione di nuovi moduli e sistemi biologici o alla riprogettazione di sistemi biologici esistenti per scopi utili.
Il più grande successo della biologia di sintesi risale al 2002, quando dei ricercatori del SUNY Stony Brook riuscirono a sintetizzare il genoma a 7741 basi del poliovirus a partire dalla sua sequenza, producendo di fatto il primo organismo sintetico. Poi, nel 2019 gli scienziati dell’ETH di Zurigo riuscirono nell’impresa della creazione del primo genoma batterico. Subito dopo si è arrivati alla nascita del primo xenobot, un organismo sintetico programmabile derivato da cellule di rana e progettato dall’intelligenza artificiale (e in grado di moltiplicarsi).
Da un punto di vista scientifico, la biologia di sintesi ha dunque fatto importanti passi avanti. Ma dal punto di vista economico, le cose stanno andando maluccio. Un tempo questa scienza era considerata come il settore chiave in cui investire per poter ottenere grossi guadagni. Le startup che lavoravano alla creazione di carne, seta o caffè di sintesi ricevevano tantissimi finanziamenti. Ma oggi tutto sembra fermo. Gli investitori preferiscono altri settori, come l’AI.
Eppure le ricerche che si occupano di biologia di sintesi, in pratica, possono ingegnerizzare geneticamente i microbi per produrre di tutto: dai nuovi medicinali ai materiali, dal cibo ai profumi. Anni fa, per esempio, si puntava parecchio sull’uso di microrganismi per il biorisanamento, ovvero per rimuovere i contaminanti dall’acqua, dal suolo e dall’aria. Ma ora sembra un argomento poco di moda. Stessa storia per le colture alimentari microbiche geneticamente modificate (come le proteine in polvere a base di energia solare) o di sintesi artificiale senza cellule (la carne coltivata).
La crisi (economica) della biologia di sintesi: nessuno ci investe più
Le più grandi aziende che hanno cercato di creare business milionari con la biologia di sintesi sono in grossa difficoltà. La Amyris si occupa della produzione di ingredienti chimici speciali, aromi e fragranze, cosmetici, prodotti farmaceutici e nutraceutici. Lo faceva utilizzando la biotecnologia sintetica. E pochi mesi fa ha dichiarato bancarotta.
La Zymergen, che voleva produrre attraverso i microbi una nuova plastica, più flessibile e al 100% biocompatibile, ha già liquidato tutti i suoi asset. La Ginkgo Bioworks di Boston, impegnata nella creazione di batteri con applicazioni industriali e agricole, sta licenziando tutti i suoi ricercatori dopo che le sue azioni sono crollate in borsa.
Le ragioni di questi fallimenti sono noti: anche le startup più piccole sono state sommerse da investimenti. Si credeva di poter realizzare di tutto, e in tempi brevi, ma molti progetti non si sono concretizzati o hanno dato forma a risultati poco interessanti dal punto di vista commerciale. E ora il mercato guarda con disinteresse alla biologia di sintesi. I ricercatori tornano dunque nelle università, a lavorare con pochi fondi, e la grande corsa alla vita artificiale subisce un brusco rallentamento.
La synbio voleva ricreare la natura attraverso le tecniche del sequencing e del modeling (qualcuno la chiamava la scienza di Dio), ma finora non è riuscita a dare a chi la natura umana governa (il mercato) ciò che si aspettava. E questo è un problema che potrebbe decretarne la crisi.