ROMA – Per far fronte alla scarsa competitività italiana, c’è da risolvere il nodo della bassa flessibilità del mercato del lavoro in uscita. Come sottolineato anche nella lettera inviata a Bruxelles, il Paese si prepara ad inserire delle norme che facilitino i licenziamenti in casi di crisi aziendale.
Una riforma possibile prevederebbe una maggiore flessibilità in uscita accompagnata dalla possibilità di proteggere chi esce, momentaneamente, dal mondo del lavoro. Si tratterebbe di superare la dicotomia “protetti-non protetti” , e per far ciò, in Parlamento giace un disegno di legge presentato dal giuslavorista del Pd Piero Ichino che è stato giudicato efficace anche dal premier Berlusconi.
Il Giornale dedica al giuslavorista del Pd una lunga intervista in cui spiega cosa prevede la proposta di riforma da lui elaborata: “In sostanza si tratta di questo: un codice del lavoro semplificato, composto di 70 articoli molto chiari e facilmente traducibili in inglese, suscettibili di applicarsi a tutta l’area del lavoro sostanzialmente dipendente. Così si supera il dualismo fra protetti e non protetti nel mercato del lavoro. L’idea è che, in partenza, questo nuovo ‘diritto del lavoro unico’, per la parte relativa ai licenziamenti si applichi soltanto ai rapporti di lavoro nuovi, che si costituiranno da qui in avanti”.
I punti salienti del disegno di legge – spiega Ichino – sono l’introduzione del contratto a tempo indeterminato per tutti ” tranne, ovviamente, i casi classici di contratto a termine, per punte stagionali, sostituzioni temporanee, eccetera”. Si tratterebbe dell’estensione a tutti delle protezioni essenziali, in particolare contro le discriminazioni, con nessuno che resta però inamovibile: “Chi perde il posto una garanzia robusta di assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione, di continuità del reddito e di investimento sulla sua professionalità”.
Il disegno di legge, spiega il senatore del Pd, potrebbe piacere a larga parte dell’opposizione: “Questo disegno di legge, pur non essendo stato fatto proprio dal Pd, è stato presentato al Senato, insieme a me, da altri 54 senatori del Pd: la maggioranza del nostro gruppo. È stato fatto poi esplicitamente proprio dall’Udc, dall’Api e da Futuro e Libertà. E il 10 novembre una mozione di Francesco Rutelli che impegna il governo a varare una riforma modellata proprio su questo disegno di legge è stata approvata dal Senato a larghissima maggioranza: 455 voti contro 24 contrari e astenuti”.
A quindici anni dal “pacchetto Treu” la flessibilità in Italia continua ad apparire un tabù: “Questa è per sua natura una materia molto ansiogena. Si parla genericamente di un intervento legislativo, si scatenano tutte le paure. Per questo è politicamente essenziale aprire la discussione sulla base di un progetto preciso, nero su bianco, il cui equilibrio sia stato messo a punto attraverso incontri politico-sindacali e seminari universitari in tutta Italia. Questo è quello che è avvenuto prima e dopo la presentazione del disegno di legge n. 1873”.
A proposito dei sindacati, Ichino spiega che questi “si oppongono a proposte generiche, talvolta minacciose nella loro formulazione – come quella dei ‘licenziamenti facili’ – capisco la loro mobilitazione. Ma qui la cosa è molto diversa: si parla, innanzitutto, di una riforma della materia destinata ad applicarsi soltanto ai rapporti di lavoro che si costituiranno da qui in avanti. Chi oggi ha un rapporto di lavoro stabile conserverà la vecchia protezione”.
“Si parla, poi, – continua il senatore Pd – di varare un nuovo codice del lavoro semplificato capace finalmente di applicarsi a tutti, voltando pagina rispetto al regime attuale di vero e proprio apartheid fra protetti e non protetti. Opporsi a questo progetto da parte di grandi confederazioni come Cgil, Cisl e Uil che si proclamano non corporative, significherebbe mettersi contro le nuove generazioni”.
L’applicazione del nuovo “codice del lavoro semplificato”, secondo Ichino porterebbe ” i nuovi rapporti di lavoro in posizione di sostanziale dipendenza dall’azienda, superando il dualismo che oggi caratterizza negativamente il nostro mercato del lavoro”.
“Una seconda contropartita altrettanto importante è costituita dalla garanzia per tutti i lavoratori dipendenti di un trattamento alla danese in caso di perdita del posto: garanzia di continuità del reddito e di un forte investimento sulla loro professionalità, perché più e meglio si investe su di essa, più rapida sarà la ripresa del lavoro e quindi la cessazione del trattamento di disoccupazione”.
Il passo in avanti sarebbe secondo Ichino, il fatto che “la definizione del lavoratore dipendente, a cui si applica la nuova disciplina, è concepita in modo da non richiedere l’intervento di ispettori, avvocati e giudici per imporre l’applicazione del diritto del lavoro. Rientrano in questa nozione, oltre alle figure già tradizionalmente qualificate come ‘subordinate’, coloro che svolgono continuativamente lavoro personale in regime di monocommittenza, cioè soltanto o quasi soltanto per un’unica azienda, con un reddito annuo non superiore a 40mila euro. Per accertare questi elementi essenziali bastano i tabulati dell’Inps o dell’Erario”.
La riforma porterebbe insomma all’abolizione della figura del precario che si vedrebbe così facilitata anche l’erogazione del credito. Spiega Ichino: “Con la riforma che propongo non ci saranno più precari, salvi i casi classici di lavoro a termine. La necessaria e ineliminabile flessibilità di cui le strutture produttive hanno bisogno sarà distribuita in misura uguale su tutti i nuovi assunti. E tutti, quindi, saranno posti in posizione di pari opportunità per ottenere dalla banca il mutuo”.