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La riforma del lavoro del senatore Pd Piero Ichino: “A sinistra la voterebbero”

di Lorenzo Briotti |30 Ottobre 2011 10:57

Il senatore Pd Piero Ichino

ROMA – Per far fronte alla scarsa competitività italiana, c’è da risolvere il nodo della bassa flessibilità del mercato del lavoro in uscita. Come sottolineato anche nella lettera inviata a Bruxelles, il Paese si prepara ad inserire delle norme che facilitino i licenziamenti in casi di crisi aziendale.

Una riforma possibile prevederebbe una maggiore flessibilità in uscita accompagnata dalla possibilità di proteggere chi esce, momentaneamente, dal mondo del lavoro. Si tratterebbe di superare la dicotomia “protetti-non protetti” , e per far ciò, in Parlamento giace un disegno di legge presentato dal giuslavorista del Pd Piero Ichino che è stato giudicato efficace anche dal premier Berlusconi.

Il Giornale dedica al giuslavorista del Pd una lunga intervista in cui spiega cosa prevede la proposta di riforma da lui elaborata: “In sostanza si tratta di questo: un codice del lavoro semplificato, composto di 70 articoli molto chiari e facilmente traducibili in inglese, suscettibili di applicarsi a tutta l’area del lavoro sostanzialmente dipendente. Così si supera il dualismo fra protetti e non protetti nel mercato del lavoro. L’idea è che, in partenza, questo nuovo ‘diritto del lavoro unico’, per la parte relativa ai licenziamenti si applichi soltanto ai rapporti di lavoro nuovi, che si costituiranno da qui in avanti”.

I punti salienti del disegno di legge – spiega Ichino – sono l’introduzione del contratto a tempo indeterminato per tutti ” tranne, ovviamente, i casi classici di contratto a termine, per punte stagionali, sostituzioni temporanee, eccetera”. Si tratterebbe dell’estensione a tutti delle protezioni essenziali, in particolare contro le discriminazioni, con nessuno che resta però inamovibile: “Chi perde il posto una garanzia robusta di assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione, di continuità del reddito e di investimento sulla sua professionalità”.

Il disegno di legge, spiega il senatore del Pd, potrebbe piacere a larga parte dell’opposizione: “Questo disegno di legge, pur non essendo stato fatto proprio dal Pd, è stato presentato al Senato, insieme a me, da altri 54 senatori del Pd: la maggioranza del nostro gruppo. È stato fatto poi esplicitamente proprio dall’Udc, dall’Api e da Futuro e Libertà. E il 10 novembre una mozione di Francesco Rutelli che impegna il governo a varare una riforma modellata proprio su questo disegno di legge è stata approvata dal Senato a larghissima maggioranza: 455 voti contro 24 contrari e astenuti”.

A quindici anni dal “pacchetto Treu” la flessibilità in Italia continua ad apparire un tabù: “Questa è per sua natura una materia molto ansiogena. Si parla genericamente di un intervento legislativo, si scatenano tutte le paure. Per questo è politicamente essenziale aprire la discussione sulla base di un progetto preciso, nero su bianco, il cui equilibrio sia stato messo a punto attraverso incontri politico-sindacali e seminari universitari in tutta Italia. Questo è quello che è avvenuto prima e dopo la presentazione del disegno di legge n. 1873”.

A proposito dei sindacati, Ichino spiega che questi “si oppongono a proposte generiche, talvolta minacciose nella loro formulazione – come quella dei ‘licenziamenti facili’ – capisco la loro mobilitazione. Ma qui la cosa è molto diversa: si parla, innanzitutto, di una riforma della materia destinata ad applicarsi soltanto ai rapporti di lavoro che si costituiranno da qui in avanti. Chi oggi ha un rapporto di lavoro stabile conserverà la vecchia protezione”.

“Si parla, poi, – continua il senatore Pd – di varare un nuovo codice del lavoro semplificato capace finalmente di applicarsi a tutti, voltando pagina rispetto al regime attuale di vero e proprio apartheid fra protetti e non protetti. Opporsi a questo progetto da parte di grandi confederazioni come Cgil, Cisl e Uil che si proclamano non corporative, significherebbe mettersi contro le nuove generazioni”.

L’applicazione del nuovo “codice del lavoro semplificato”, secondo Ichino porterebbe ” i nuovi rapporti di lavoro in posizione di sostanziale dipendenza dall’azienda, superando il dualismo che oggi caratterizza negativamente il nostro mercato del lavoro”.

“Una seconda contropartita altrettanto importante è costituita dalla garanzia per tutti i lavoratori dipendenti di un trattamento alla danese in caso di perdita del posto: garanzia di continuità del reddito e di un forte investimento sulla loro professionalità, perché  più e meglio si investe su di essa, più rapida sarà la ripresa del lavoro e quindi la cessazione del trattamento di disoccupazione”.

Il passo in avanti sarebbe secondo Ichino, il fatto che “la definizione del lavoratore dipendente, a cui si applica la nuova disciplina, è concepita in modo da non richiedere l’intervento di ispettori, avvocati e giudici per imporre l’applicazione del diritto del lavoro. Rientrano in questa nozione, oltre alle figure già tradizionalmente qualificate come ‘subordinate’, coloro che svolgono continuativamente lavoro personale in regime di monocommittenza, cioè soltanto o quasi soltanto per un’unica azienda, con un reddito annuo non superiore a 40mila euro. Per accertare questi elementi essenziali bastano i tabulati dell’Inps o dell’Erario”.

La riforma porterebbe insomma all’abolizione della figura del precario che si vedrebbe così facilitata anche l’erogazione del credito. Spiega Ichino:  “Con la riforma che propongo non ci saranno più precari, salvi i casi classici di lavoro a termine. La necessaria e ineliminabile flessibilità di cui le strutture produttive hanno bisogno sarà distribuita in misura uguale su tutti i nuovi assunti. E tutti, quindi, saranno posti in posizione di pari opportunità per ottenere dalla banca il mutuo”.

Claudio Morando

Tra le reazioni più importanti da segnalare c’è quella di Enrico Morando, altro senatore Pd di area liberal. In’un intervista al Corriere di oggi 30 ottobre, Morando spiega di appoggiare la proposta di Ichino: “Dire che bisogna rendere più facili i licenziamenti per rendere più facili le assunzioni è un discorso che non sta in piedi. Significa solo spostare sulle spalle dei lavoratori i costi della crisi, dopodiché di flessibilità in uscita si può parlare, ma solo dopo aver creato un sistema di ammortizzatori sociali che copra tutti i lavoratori. Oggi non c’è”.

“ll problema principale dell’Italia, come ci ha detto anche l’Europa, è il dualismo del nostro mercato del lavoro. Chi ha un contratto a tempo indeterminato è protetto, anche se meno che altrove. Chi è precario, invece, non ha alcuna forma di tutela, nemmeno quella più elementare in caso di disoccupazione. Il vero problema è questo, non la flessibilità in uscita“.

Secondo Morando si può paralre di questi argomenti “ridisegnando completamente le regole, non con un blitz che faciliti i licenziamenti punto e basta. Io sono per il modello Ichino. E cioè, a differenza di quello che lascia intendere la lettera del governo italiano, non cambierebbe nulla per i lavoratori che oggi hanno un contratto a tempo indeterminato. Per loro resterebbe anche l’articolo 18, e quindi la possibilità di fare ricorso al giudice ed essere riassunti in caso di sentenza favorevole”.

Per i nuovi assunti – spiega Morando – “bisogna eliminare questo ciarpame di contratti flessibili che annienta i nostri giovani. E introdurre un contratto unico che non può essere a termine ma supererebbe l’articolo 18”. Il licenziamento sarebbe sempre possibile, dunque. “Mai quello per motivi discriminatori, di fatto oggi possibile nei contratti a termine, ad esempio per le opinioni politiche”.

E se l’azienda va in crisi? “Il licenziamento per motivi economici sarebbe possibile in una prima fase, diciamo per un certo numero di anni. Anche se qui sono possibili diverse varianti e c’è chi sostiene che dopo alcuni anni potrebbe essere di nuovo vietato. In ogni caso il lavoratore licenziato otterrebbe dall’azienda un indennizzo crescente in base al numero degli anni di impiego. Naturalmente se è disponibile a frequentare corsi di riqualificazione e cercare un nuovo lavoro”.

Per eliminare il dualismo oggi presente nel mercato del lavoro tra garantiti e non garantiti bisognerebbe aspettare solo qualche anno: “Nel giro di alcuni anni avremmo solo lavoratori con le nuove regole. E la cosa importante è che tutti sarebbero garantiti da quegli ammortizzatori sociali universali, come in Germania, in Danimarca o in Svezia, che oggi non abbiamo. Lo ripeto, questa è la condizione essenziale per qualsiasi modifica alle regole sui licenziamenti”.

Il punto è che con queste regole non solo lo Stato ma anche l’azienda che licenzia avrebbe interesse a riqualificare e ricollocare il lavoratore licenziato”. Anche in un momento di crisi come questo, le aziende secondo Morando devono guardare al futuro non scaricando tutto sui più deboli. Per questa ragione, dovrebbero appoggiare un disegno di legge come questo.

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