ROMA – E’ una marmellata di Stato l’ultima concessione di Tremonti alle pretese clientelari della Lega, amorevolmente definite territoriali? Sembrerebbe di sì, visto che lo Stato, attraverso il Fondo Italiano di Investimento entrerà con 14 milioni di euro nella Rigoni di Asiago Srl. “in parte attraverso un aumento di capitale – si legge in una nota congiunta diffusa ieri dalle due parti – a fronte della sottoscrizione di una quota di minoranza ed in parte attraverso la sottoscrizione di un prestito convertibile”. Si parla di una partecipazione attorno al 35% che, sulla base del piano industriale elaborato da Rigoni, porterebbe nelle casse della società le risorse necessarie per far decollare il fatturato fino a quota 100 milioni di euro, dai 63 attuali.
E’ l’operazione numero 16 del Fondo, creato dall’ex ministro del Tesoro a luglio scorso per sostenere le piccole e medie imprese. Il Gruppo Rigoni conta 100 dipendenti. Vuole espandersi all’estero e allargare la produzione, oltre alla marmellata, di succhi di frutta. Il Fondo Italiano opera, secondo le intenzioni di Tremonti, come un “private equity” buono, laddove quelli “normali” e quindi cattivi, scelgono piccole società, ne aumentano il valore in poco tempo, realizzano e se ne vanno spolpando la società stessa. Con soldi propri, aggiungeremmo.
Il Fondo, invece, che appunto è buono, ha capitale in gran parte pubblico (Tesoro, Cassa depositi e prestiti, Abi e banche sponsor, con in testa Intesa), opera come una società di diritto privato, non risponde a nessuno e sceglie i propri beneficiati in totale autonomia e discrezionalità. “E’ un’anomalia il fatto di avere una struttura pubblica – privata con un attore che ha controllo statale e altri attori che sono banche, perché normalmente noi ci aspetteremmo che un’attività finanziaria di questo genere venga offerta da attori privati” ha sostenuto Marcello Messori, docente di Economia a Tor Vergata a Roma.
Il carattere ideologico dell’impresa lo ha apertamente confessato anche Tremonti. “Il capitale ideologico è importante quanto il capitale finanziario. Conta forse anche di più, ma valutarlo è più complicato” sosteneva di fronte all’esultante Marcegaglia dell’epoca. Avrebbe, il Fondo, agito anche al centro e al sud, fu l’excusatio non petita del ministro più creativo della Repubblica. Per una piccola impresa è importante avere un socio come lo Stato per crescere e non per essere assistito, la tesi di fondo. Che anima liberista, non c’è che dire. Sì, perché aiutare aziende decotte va male, meglio assistere direttamente chi nel caso perde il lavoro. Ma aiutare aziende che vanno bene è cervellotico a meno che… A meno che non faccia parte di qualche scambio politica e clientes, come del resto nella migliore tradizione dei politici della Magna Grecia.
E Monti, il professore del liberalismo e della concorrenza come si pone di fronte a questa deriva ideologica, sempre prendendo a prestito il vocabolario tremontiano? Qui si passa dalla teoria alla pratica, dalla lezione in vitro al concreto del marciapiede e balzano fuori, dai tombini della tanto vituperata prima repubblica, i miasmi e i fantasmi dell’Iri e dell’Egam e di tutto l’assistenzialismo di Stato, che da che l’Italia è unita ne hanno inquinato la vita economica.