Ripresa. I 4 motori di Mario Deaglio: export, consumi, debiti Pa, fondi Ue

Ripresa. I 4 motori di Mario Deaglio: export, consumi, debiti Pa, fondi Ue
Mario Deaglio, finalmente ripresa

Ripresa in avvio, conferma Mario Deaglio, economista e giornalista, dopo che lo hanno detto ufficialmente la Banca d’Italia, Confindustria e il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni.

“Improvvisamente i mezzi d’informazione, da oltre un anno chiusi in un feroce pessimismo che li ha spinti a interpretare al peggio tutti i segnali della congiuntura, sottolineano i miglioramenti degli ultimi mesi. Certo le centinaia di migliaia di imprese in sofferenza da mesi, che non vedono spiragli, nella loro situazione stentano a riconoscersi in questo cambiamento di atmosfera ma anche in economia vale il vecchio detto che non è mai così buio come prima dell’alba”.

Secondo Mario Deaglio,

“la ripresa italiana che potrebbe nascere si inquadra in un panorama europeo meno burrascoso di qualche mese fa. I tedeschi hanno di fatto ridotto la loro pretesa di un’austerità implacabile da parte degli altri paesi, per l’aggiustamento immediato delle loro finanze pubbliche. Per conseguenza, anche il percorso dell’economia italiana, pur continuando a essere in salita, appare sicuramente meno duro di quello dell’anno passato”.

Non dice Deaglio che alla ripresa, ormai percepibile nelle strade in presa diretta, forse ha contribuito anche il fatto che al nefasto Governo di Mario Monti sia subentrato un Governo magari un po’ di boy scout e incompetenti, ma guidato da una persona alla apparenza normale, Enrico Letta, che non inasprisce le situazioni e non vuole vederci tutti in brache di tela.

Nè ricorda Deaglio le aspre campagne di alcuni giornali contro qualsiasi cosa accadesse sotto il Governo Berlusconi che ha contribuito a creare il clima di psicosi che ha dato un bel contributo all’aggravamento della recessione. Però evidenzia una componente psicologica della recessione.

Guarda avanti e sostiene che

“l’economia italiana può contare su quattro diversi «motori economici».

1.  il motore delle esportazioni, che non ha mai cessato di funzionare in questi lunghi trimestri di caduta produttiva. Va dato atto alle imprese italiane di aver colto all’estero opportunità che non erano affatto scontate. L’espansione delle esportazioni sembra avere carattere strutturale e quindi non risultare troppo sensibile a eventuali rallentamenti della domanda globale.

2. la domanda interna, che ha invece smesso di funzionare da tempo. Per una buona parte della popolazione il rallentamento degli acquisti, soprattutto dei beni di consumo durevoli, non è stato determinato dal peggioramento delle condizioni finanziarie famigliari ma dalla paura della crisi, per cui si sono apprestate riserve di liquidità che, proprio perché non spese, non si sono tradotte in fatturato e posti di lavoro. Si è così formata una domanda latente (dai mobili agli elettrodomestici, dalle auto alle calzature) che aspetta soltanto di respirare un po’ di fiducia per cominciare. Un’analoga domanda potrebbe manifestarsi per le abitazioni.

3. il pagamento di decine di miliardi di debiti commerciali degli enti pubblici, vergognosamente accumulati negli anni per motivi di «cosmesi finanziaria». La loro liquidazione è tecnicamente complessa (i debitori sono migliaia di enti diversi e i creditori devono dimostrare il loro buon diritto) ma il ministro dell’Economia assicura che le cose stanno procedendo bene. Questo denaro dovrebbe servire ad attenuare l’utilizzo di credito bancario da parte di moltissime imprese e a rendere un po’ meno anormali le condizioni del mercato italiano del credito alle imprese favorendo qualche investimento produttivo.

4. i fondi europei per i quali siamo diventati la favola dell’Europa e su cui  l’Italia dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) poter contare. Per ottenere questi fondi, la cultura italiana ha spesso posto l’accento sugli appoggi più che sull’assoluta precisione di progetti e preventivi e sull’esattezza delle rendicontazioni. Per questo l’Italia si è vista respingere implacabilmente gran parte delle domande di finanziamento. Per imparare a essere buoni europei è necessario fare i conti all’europea, una procedura pignola, noiosa ma che vale sicuramente la pena di seguire: qualche decina di miliardi di finanziamenti, in particolare per infrastrutture e corsi di qualificazione, potrebbe fare la differenza tra un’Italia che sarà comunque spinta passivamente verso l’alto da una modesta e generalizzata tendenza europea alla crescita e un’Italia che mira a trasformare la piccola spinta congiunturale che forse ci aspetta nell’avvio di un processo di crescita più duraturo”.

 

 

I commenti sono chiusi.

Gestione cookie