ROMA – Ripresa italiana (+0,6%) doppiata da Spagna e Portogallo: rigore senza riforme. Le statistiche sulla crescita italiana (+0,6% nel 2014) fotografano una realtà a se stante, un unicum nell’economia continentale: ci sono dei segnali incoraggianti (consumi, investimenti, perfino l’occupazione) ma sono davvero flebili rispetto ai ritmi anche di paesi considerati periferici come Spagna, Portogallo (entrambi +1,1%) o la stessa Grecia (+2,9% che parte però dopo aver toccato il fondo del disastro finanziario). Federico Fubini analizza questa situazione su Repubblica di oggi e suggerisce l’idea che davvero l’Italia faccia storia a sé, faccia parte di un club esclusivo dove il dissesto globale degli ultimi anni e i relativi tentativi di ristrutturazione hanno seguito altre logiche.
E’ la Commissione Europea che, sulla scorta dei dati, a certificare la nostra singolarità. Il fatto è che il nostro debito pubblico, lungi dall’essere ridimensionato come da impegni precisi sottoscritti, continua a correre approfittando ovviamente del restringimento del Pil. “L’Italia era un’anomalia per la fiacchezza delle sue gambe prima della crisi e torna ad esserlo dopo” afferma Fubini. E le politiche di rigore che abbiamo intrapreso, con il patto implicito che le riforme necessarie le stabiliamo noi e non l’Europa o l’Fmi come è successo nei paesi di cui sopra, non hanno funzionato per la crescita. Perché si è agito solo sul piano del rigore e dei tagli (e abbiamo tenuto il deficit sotto controllo) ma non su quello delle riforme, per cui la crescita resta anemica come lo era prima della crisi.
Madrid ha accettato l’aiuto, ha agito poco sul deficit, ma su richiesta europea ha cambiato le regole del lavoro in un modo che persino Matteo Renzi riterrebbe troppo rivoluzionario: gran parte dei contratti si fanno in azienda, non in affollati «tavoli» centralizzati nella capitale, mentre i giudici non mettono bocca nei licenziamenti economici. Può non piacere, ma ieri all’Istat Stefania Tomasini di Prometeia ha mostrato che il Pil dell’Italia oggi sarebbe del 3% più alto se solo l’export fosse andato bene come in Spagna. (Federico Fubini, La Repubblica)